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L'Italia delle piccole imprese: forza trainante del Paese

Latina è cinquantatreesima, la provincia di Frosinone si pazza al diciannovesimo posto

L'Italia delle piccole imprese: forza trainante del Paese

Le piccole e medie imprese italiane continuano a rappresentare il motore dell’economia nazionale e un’eccellenza riconosciuta a livello europeo. A confermarlo è uno studio dell’Ufficio ricerca della Cgia di Mestre, che fotografa un sistema produttivo composto da realtà piccole e piccolissime ma straordinariamente performanti rispetto ai competitor dell’Unione. Tuttavia, accanto alle luci emergono anche ombre importanti: l’Italia, a differenza di altri grandi Paesi industrializzati, non dispone più di un adeguato numero di grandi imprese capaci di trainare l’innovazione, l’export e gli investimenti di lungo periodo.

Secondo i dati analizzati dalla Cgia, le Pmi italiane – cioè le aziende con meno di 250 addetti – sono 4,7 milioni, pari al 99,9% del totale. Impiegano oltre 14 milioni di persone, il 76,4% dell’occupazione nazionale, e generano circa il 64% del fatturato complessivo insieme al 65% del valore aggiunto. Una presenza tanto massiccia quanto decisiva per la tenuta del sistema produttivo. Di contro, le grandi imprese sono appena 4.619, equivalenti allo 0,1% del totale, pur dando lavoro al 23,6% degli occupati.


Il confronto con l’Europa
Quando il confronto si amplia al resto d’Europa, emerge con forza la competitività delle Pmi italiane. Pur rappresentando una quota simile a quella degli altri Paesi, il loro contributo in termini di occupazione, fatturato e valore aggiunto risulta nettamente superiore. Rispetto alla Germania, per esempio, le nostre Pmi occupano il 74,6% degli addetti contro il 55,2% delle omologhe tedesche; generano il 62,9% del fatturato nazionale, mentre le tedesche si fermano al 35,8%; e assicurano il 61,7% del valore aggiunto totale, contro il 46% della Germania.

Ancora più sorprendente è il dato relativo alla produttività. Le piccole e medie imprese italiane in senso stretto (vale a dire quelle tra 10 e 249 dipendenti) superano le tedesche di oltre 4.200 euro per addetto (+6,6%). Un risultato che smentisce lo stereotipo di un’Italia meno efficiente dal punto di vista industriale.
Il gap rimane invece significativo nel segmento delle microimprese, che rappresentano la fetta più ampia del tessuto produttivo nazionale: nelle aziende sotto i dieci addetti la produttività italiana è inferiore del 33% rispetto a quella tedesca. La Cgia sottolinea che un maggiore investimento in innovazione, ricerca e digitalizzazione proprio nelle micro realtà renderebbe il sorpasso sulla Germania completo in tutte le classi dimensionali.

Eppure, accanto alle performance eccellenti delle Pmi si staglia un elemento critico: la progressiva scomparsa delle grandi imprese italiane. Fino agli anni 80 il Paese poteva contare su player di primo piano nella chimica, nella siderurgia, nella plastica, nelle auto e nell’elettronica: realtà come Montedison, Italsider, Olivetti, Fiat e molte altre garantivano massa critica, know-how avanzato e capacità di competere su scala globale. Oggi, dopo privatizzazioni, crisi industriali, cambiamenti geopolitici e ristrutturazioni, gran parte di quel patrimonio è evaporato. Le multinazionali italiane sono poche, e la nostra economia si regge quasi interamente su Pmi spesso sottocapitalizzate e con limitato accesso ai mercati finanziari.

È proprio questa debolezza a spiegare molti dei limiti strutturali del Paese: bassi livelli medi di salari, poca ricerca, scarsa propensione all’innovazione. Non perché ci siano troppe Pmi, osserva la Cgia, ma perché mancano le grandi imprese che altrove trainano interi ecosistemi industriali.
Se l’Italia continua a sedere nel G20 delle principali economie mondiali, il merito va soprattutto alla qualità diffusa del lavoro delle piccole e piccolissime imprese, capaci di portare ovunque nel mondo prodotti riconoscibili per gusto, artigianalità e design.
Il punto al Centro e al Sud
Il ruolo delle Pmi è ancora più decisivo nel Mezzogiorno, area in cui quasi mancano grandi imprese. Qui l’occupazione dipende quasi totalmente da micro e piccole realtà: a Vibo Valentia la percentuale raggiunge addirittura il 100%, mentre in province come Isernia, Trapani, Agrigento supera il 98%. All’estremo opposto (Torino, Roma e Milano) l’incidenza delle Pmi scende, restando comunque sopra il 50%.

La situazione nel Lazio
Detto di Roma, penultima con poco più di un milione di piccole e medie imprese su circa un milione e 600.000 (pari al 63,5%), Frosinone si piazza al diciannovesimo posto con 91.695 piccole e medie imprese su 96.155 (ossia il 95,4% del totale). La provincia di Viterbo fa meglio con l’undicesimo posto in Italia55.384 pmi su 57.284 aziende per il 96,7%). Rieti è quarantaduesima con 19.883 su 21.841 (91%) e Latina cinquantatreesima con 112.390 su 126.175 (89,1%).

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