Il commento del direttore
21.12.2025 - 14:10
Gli arresti di questi giorni a Terracina non possono essere ricondotti alla sola cronaca, ma fanno emergere dinamiche che gettano un’ombra pesante sulla società e sulla politica locale. L’operazione antimafia ha portato all’esecuzione di misure cautelari nei confronti di cinque persone per reati gravissimi: scambio elettorale politico-mafioso, estorsione aggravata dal metodo mafioso, trasferimento fraudolento di valori e turbata libertà degli incanti. Tra gli indagati figura, secondo gli inquirenti, un elemento riconducibile al clan Licciardi, storica famiglia camorristica dell’area partenopea, la cui influenza in città viene descritta come significativa e radicata nel tessuto economico e politico. Ora, fermo restando che saranno i giudici a dire se le accuse siano fondate o meno, gli elementi attorno a cui si è sviluppata l’inchiesta mostrano già importanti segnali per una riflessione. La portata dell’operazione parla chiaro: beni immobili, quote societarie e attività commerciali per oltre 10 milioni di euro sono stati sequestrati nell’ambito dell’inchiesta, che va ben oltre il semplice sospetto di collegamenti criminali individuali. Ancora più inquietante è l’accusa di scambio elettorale, che lega esponenti della politica locale – con la sospensione dalla carica di un consigliere comunale della maggioranza – a favoreggiamenti nei confronti di esponenti del clan per ottenere consensi. Terracina si trova a fare i conti con una realtà ben diversa: l’infiltrazione di logiche mafiose nei meccanismi di potere e di affari. Il filone investigativo ribattezzato “Porta Napoletana” ipotizza come i nodi tra criminalità organizzata, politica e imprenditoria non siano semplici coincidenze ma aspetti di un fenomeno profondo e strutturato. Il problema non è confinabile alla figura di singoli arrestati, ma riguarda un clima culturale e sociale che ha permesso a clan camorristici di trovare terreno fertile anche nel cuore del sudpontino, attraverso l’uso di prestanome, la compravendita di immobili e l’accesso a risorse economiche e appalti locali. La politica, le associazioni, le categorie produttive e la società civile devono sentire questa operazione come un campanello d’allarme: non si può più tergiversare di fronte ai segnali di infiltrazione mafiosa.
Altro che cultura. Quando la tradizione diventa una catena
C’è chi ancora si ostina a chiamarla “integrazione”, chi preferisce rifugiarsi nella formula ipocrita del “rispetto delle culture”. Poi arriva la realtà, brutale, e ci sbatte in faccia una verità che fa male: non tutte le tradizioni meritano rispetto, soprattutto quando diventano catene, botte, sevizie. E quando a pagarne il prezzo è una ragazza di 17 anni, nata in Italia, colpevole solo di vivere come una normale adolescente occidentale. Qui non siamo di fronte a un eccesso educativo, né a un conflitto generazionale. Qui siamo davanti a una madre che incatena la figlia, la picchia, la ferisce con un’arma da taglio e la trasforma in una prigioniera domestica, con il beneplacito silenzioso di un padre “assente per lavoro” e l’orrore supplementare di due fratellini costretti ad assistere, se non addirittura a partecipare. Altro che famiglia: questa è una cellula di violenza organizzata. La parola “rieducazione”, usata nei messaggi della donna, fa rabbrividire. È il lessico tipico di chi giustifica l’orrore in nome di un presunto ordine morale. Peccato che qui l’unico ordine fosse quello delle manette ai polsi di una minorenne. E c’è ancora chi si scandalizza se si dice che esistono modelli culturali incompatibili con uno Stato di diritto. La condanna è giusta, ma arriva tardi. E resta una domanda scomoda: quante altre ragazze vivono oggi la stessa prigionia, nascoste dietro il paravento del “non giudichiamo”? Difendere i diritti non è razzismo. È civiltà. E chi non lo capisce, è parte del problema.
Vincenzo Zaccheo alla prova dei fatti. Va giudicato per quel che farà
La nomina di Vincenzo Zaccheo alla presidenza della Fondazione Latina 2032 ha immediatamente acceso il dibattito politico, con critiche prevedibili arrivate in particolare dal centrosinistra. Un copione già visto, che rischia però di spostare l’attenzione dal punto centrale: Zaccheo andrà giudicato per quello che saprà fare da oggi in poi, non per letture ideologiche o regolamenti di conti con il passato. Il Centenario di Latina rappresenta una sfida complessa e ambiziosa, che richiede esperienza amministrativa, conoscenza profonda della città e capacità di tenere insieme istituzioni, territorio e comunità. Elementi che, piaccia o no, fanno parte del profilo di Zaccheo. Le critiche preventive, soprattutto quando appaiono più pretestuose che costruttive, non aiutano né la città né il progetto del Centenario. Il banco di prova sarà il lavoro concreto Tutto il resto rischia di restare solo polemica sterile.
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