Riceviamo e pubblichiamo la lettera del presidente dell'Ordine degli Architetti di Latina, Massimo Rosolini
Caro Direttore,
permettimi di scriverti ancora sulla questione dello sterminio degli alberi in viale Mazzini e piazza del Tribunale, perché la cosa rappresenta per me e per tanti altri un fatto enorme. Enorme per l'impatto ambientale che comporta, enorme per la ferita che ha procurato al volto della città ed ai sentimenti dei suoi abitanti, enorme, o almeno memorabile, per la storia di questa città che certamente ricorderà l'anno successivo al suo 87° compleanno come quello in cui si raggiunse il grado più basso di cura ed amore per la città, per la sua immagine, per la sue atmosfere, per la sua luce, per il suo "genius loci", come da molti decenni (e fino alla noia) sono state chiamate queste cose dalla cosiddetta cultura "progressista" che pensavamo informasse la maggioranza di governo di questa città. In una parola, per la sua bellezza.
"La bellezza salverà il mondo" hanno imparato a ripetere tutti in qualunque circoletto con pretese intellettuali, ma, se la cosa è vera, allora dalle nostre parti il mondo sta finendo, perché della bellezza non frega più niente a nessuno.
Secondo una delle nevrosi che affliggono il mondo contemporaneo, l'aspirazione principale non è alla bellezza ma alla sicurezza: la sicurezza totale, obiettivo irraggiungibile, a cui sacrificare tutto il resto. I nostri contemporanei sono uomini così insicuri di se stessi che hanno fatto della sicurezza un mito, e della paura la guida delle loro azioni o, più frequentemente delle loro inazioni, del loro immobilismo. La paura è paura per la propria ed altrui incolumità fisica, ma è anche, e molto, paura di dover rispondere per danni a terzi. Paura, cioè, della propria responsabilità. Con la conseguenza che, pur di allontanare ogni responsabilità, qualunque scelta, fosse pure la più dissennata, è ritenuta lecita e preferibile all'assunzione di un livello normalmente sopportabile di rischio. Il rischio che è abitualmente connesso col fatto di stare al mondo.
Qualcuno, dunque, deve aver reputato che gli alberi di viale Mazzini erano pericolosi (lo deduciamo, perché il Comune non ha comunicato nulla in merito) e dunque andavano eliminati. Ma, pericolosi, perché malati? Perché pericolanti? O solo perché, al pari di qualunque albero che sta in piedi, potevano cadere se investiti da fenomeni climatici eccezionali? Malati o pericolanti non saranno certo stati tutti, dunque è certamente prevalsa la terza ipotesi. In questo caso vorrei segnalare all'amministrazione che a tutt'oggi rimangono in piedi nella città di Latina numerosi alberi, molti dei quali appartenenti proprio alla specie Pinus Pinea, pericolo pubblico numero uno, il che qualifica la città come sito fortemente a rischio. In compagnia, per la verità, con tutte le altre città d'Italia e non solo. In particolare di Roma che vede una spaventosa concentrazione di pericolo in aree come Villa Borghese, Villa Doria Panfili, le Terme di Caracalla, il colle Palatino, l'Appia Antica, ma anche il Gianicolo, il Pincio, i lungotevere etc. etc. Tutte zone che, per sicurezza, andrebbero almeno transennate e interdette ai cittadini e ai turisti, altro che coronavirus.
Sembra, poi, che al posto dei Pini cancellati si vorrebbero piantare dei Lecci, i quali sono alberi dall'accrescimento lentissimo che raggiungeranno una dimensione appena degna e comunque molto inferiore a quella dei pini, tra non meno di due o tre generazioni, come si può verificare facilmente guardando quelli che stanno in Piazza del Popolo. Una scelta sconsigliabile dunque, al posto della quale i cittadini di Latina dovrebbero almeno chiedere che vengano ripiantati alberi della stessa specie di quelli tagliati. Gli stessi Pini che sono stati su quel viale e nella piazza del Tribunale per ottant'anni senza ammazzare mai nessuno. La ripiantumazione dei Pini dovrebbe essere il primo atto di un grande piano di forestazione urbana per la città. Un programma che la metterebbe, almeno in questo, al passo con le migliori città d'Europa e che compenserebbe un poco la colpa per lo scempio appena compiuto.