Per la giornata del Giovedì Santo, che ricorre oggi, il vescovo di Latina, Mariano Crociata ha inviato una lettera ai presbiteri invitandoli, tra l'altro, «a riscoprire il senso spirituale ed ecclesiale del nostro celebrare». Ecco le parole del Vescovo:

"Cari presbiteri, 
in questo giorno, al quale il nostro ministero è legato profondamente, desidero farvi giungere il mio augurio pasquale e l'espressione del mio affetto. Quest'anno non abbiamo la possibilità di celebrare insieme, né tra di noi né con i nostri fedeli. Si tratta di una limitazione a dir poco eccezionale, che chiede di essere accolta, compresa e vissuta in maniera adeguata, e cioè con senso di fede e di Chiesa. Si può dire che è in atto, nei nostri cuori e nella Chiesa tutta, un intenso processo di discernimento spirituale, le cui espressioni e i cui frutti confidiamo a poco a poco di cogliere e di condividere. Qui vorrei semplicemente accennare ad un aspetto che risalta in maniera singolare in questo giorno santo, e cioè l'Eucaristia. Noi esistiamo, come ministri ordinati, per il Corpo di Cristo, inseparabilmente comunione e sacramento, comunione ecclesiale dei credenti e sacramento dell'Eucaristia. Queste due dimensioni del Corpo di Cristo sono inseparabili, poiché il nostro primo servizio al popolo credente è nutrirlo con il sacramento dell'altare, e d'altra parte non ha senso celebrare l'Eucaristia se non per e con il popolo cristiano. 
Oggi ci sentiamo in difficoltà, poiché non possiamo celebrare con il popolo, seppure ci è consentito di celebrare per esso. Desidero vivamente invitarvi a non stemperare questa difficoltà, a non svuotarla, e perciò a non far diventare tutte le attività, con cui stiamo ammirevolmente cercando di sopperire alla mancanza di una azione pastorale ordinaria, una sorta di surrogato di ciò che non c'è, che faccia dimenticare ciò che manca. Tutte le forme di trasmissione mediatica di celebrazioni e momenti di preghiera che svolgiamo – e che da parte mia apprezzo – non devono attutire il senso dell'assenza della convocazione dell'assemblea, poiché la forma ordinaria dell'esistenza e della natura della Chiesa è la convocazione dell'assemblea dei credenti, che manifesta compiutamente se stessa nella celebrazione eucaristica. 
Tra i molti altri motivi di discernimento che scopriremo dalla riflessione e dalla preghiera su questo tempo, ce ne sono ancora due che desidero segnalarvi. Il primo è il senso spirituale del nostro celebrare, che vale per i nostri fedeli ma vale anche per noi. Il Concilio Vaticano II ci ha insegnato la necessità della actuosa participatio, della partecipazione piena e attiva alla liturgia. Non c'è nessun automatismo nell'adempimento dei riti che possa risultare proficuo e salvare; solo una adesione credente attenta, convinta, cordiale, sostenuta dalla grazia, può rendere l'esecuzione di una celebrazione liturgica efficace nella sua finalità salvifica. Questo tempo, allora, chiede ai nostri fedeli di prepararsi con rinnovato senso spirituale di fede e di adesione interiore a tornare a partecipare alla celebrazione eucaristica. Ma chiede anche a noi, non privati dell'Eucaristia al contrario dei nostri fedeli, di purificare il nostro celebrare da ogni motivazione o atteggiamento che contrasti con il senso di ciò che ci è stato affidato. Anche noi abbiamo bisogno di risvegliare ad ogni celebrazione l'esigenza di una partecipazione piena e attiva. Noi siamo destinatari del bene spirituale dell'Eucaristia tanto quanto lo sono i nostri fedeli, e di esso dobbiamo aver cura coscienziosa e trepidante. Dobbiamo scongiurare che essa divenga un'abitudine; deve piuttosto rappresentare ogni volta un evento unico e irripetibile. Come qualcuno ha insegnato e praticato: ogni Messa sia come la prima, l'unica, l'ultima. 
Il secondo motivo di discernimento di questo tempo ci fa riscoprire il senso spirituale ed ecclesiale del nostro celebrare. Al riguardo mi sembra importante sottolineare tre cose. Innanzitutto, la celebrazione eucaristica è il più alto atto di culto che possiamo rendere. Al suo centro è Dio, a cui si rivolge ogni nostro pensiero, sentimento, gesto. In qualunque forma e condizione celebriamo, noi rendiamo l'atto supremo di culto a Dio. In secondo luogo, il soggetto della celebrazione non è il presidente dell'assemblea, bensì l'intera assemblea. L'assemblea è il celebrante. In questo scontiamo tutta l'eccezionalità della situazione che ci vede celebrare da soli con un pugno di fedeli. Infine, l'assemblea celebrante non è isolata e non sequestra per sé, quasi parcellizzata, la grazia della celebrazione, poiché essa è assunta e unificata dal capo del Corpo, che è il Cristo glorioso, il quale rende culto al Padre offrendo se stesso insieme all'intero suo Corpo. In ogni nostra celebrazione c'è dunque il Cristo intero, Capo e Corpo. Ogni volta che celebriamo, anche con pochissimi fedeli, perfino nel caso limite della celebrazione senza popolo, con noi celebra tutta la Chiesa, o meglio l'intero Corpo di Cristo sostenuto da Lui, suo capo. Questa coscienza dobbiamo non solo coltivare sempre, ma ravvivare e rafforzare grandemente in questo tempo di digiuno eucaristico per i nostri fedeli. 
Preghiamo perché la Pasqua, partecipata solo spiritualmente dai nostri fedeli, li veda colmati – e noi con loro – della gioia del Risorto, anticipo di una gioia rinnovata nell'esperienza dell'assemblea liturgica. 
Insieme agli auguri pasquali vi giungano, ora, la gratitudine, mia e dei fedeli, per la vostra instancabile opera apostolica, il ricordo nella preghiera e la benedizione del Signore". 
Mariano Crociata