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Il fatto

Omicidio Bardellino, la traccia di una battaglia criminale

Il pentito Vincenzo D'Angelo ricostruisce nei verbali lo scacchiere del casalesi nel sud del Lazio

Omicidio Bardellino, la traccia di una battaglia criminale

Sullo sfondo degli accertamenti sull'agguato a Gustavo Bardellino c'è una pista di tipo personale che deriva da dissidi della primavera del 2021 tra la vittima e il primo indagato, l'imprenditore Luigi Diana. Ma è una variabile cui la Dda di Roma non crede quasi per niente. Piuttosto le perquisizioni del 26 luglio scorso a carico di Diana, di Giovanni Lubello e Vito Iacopino per il tentato omicidio (favoreggiamento per Iacopino) di Gustavo Bardellino hanno come primo obiettivo quello di indagare il contesto in cui è maturato quel blitz di un anno e mezzo fa nella concessionaria di macchine sull'Appia. Scrivono i magistrati nel decreto di perquisizione: «...Fermo restando l'elevato interesse investigativo sulla figura dell'indagato Luigi Diana, la persistente contiguità della famiglia Bardellino al crimine organizzato di stampo camorristico impone in questa fase di approfondire l'ipotesi che il tentato omicidio per cui si procede sia appunto maturato in ragione di contrasti insorti con altri clan di camorra o, comunque, per ragioni legate a traffici illeciti gestiti dalla criminalità organizzata di derivazione campana a tutt'oggi operante nel Basso Lazio».

In una simile ricostruzione rientra anche Giovanni Lubello, ex marito di Katia Bidognetti. Di lui parla diffusamente il marito di Teresa Bidognetti, Vincenzo D'Angelo, divenuto collaboratore di giustizia dopo gli arresti dello scorso anno, che hanno coinvolto le sorelle Bidognetti. Il pentito ha fornito elementi utili all'indagine sugli spari in base a ciò che gli avrebbe riferito Carlo D'Angiolella, attuale compagno di Katia Bidognetti. Ha affermato che D'Angiolella gli aveva «riferito di aver parlato con il proprietario dell'autosalone Buonerba, il quale a sua volta gli aveva detto che l'unico che poteva essere a conoscenza dell'ingresso posteriore dell'autosalone, ove si era verificata la sparatoria, era Giovanni Lubello, ex cognato dello stesso collaboratore di giustizia... Aggiungeva inoltre che l'autosalone apparterrebbe per metà a un Buonerba e per l'altra metà allo stesso Lubello, perlomeno quale contitolare di fatto». E' stato verificato dai carabinieri di Formia che l'uomo che ha sparato a Gustavo Bardellino è arrivato da un'entrata secondaria, accessibile da un terreno adiacente ed è il motivo per il quale «Lubello è da considerarsi quantomeno soggetto di interesse investigativo» cui infatti è stata estesa la perquisizione che ha riguardato peraltro anche lo stesso autosalone. D'Angelo ha confermato inoltre che i Bardellino «potevano muoversi come clan autonomo ma sempre senza disturbare gli Schiavone, i quali utilizzavano i Bardellino per eventuali loro esigenze nel basso Lazio...» «...Quanto alla struttura della famiglia Bardellino - ha aggiunto D'Angelo - so che il più di rilievo è Calisto, figlio di Ernesto. Calisto avrebbe dovuto vendicare la famiglia, se avesse voluto riaffermare il suo potere».

C'è nei verbali pure un riferimento ad affari specifici, come la vigilanza nei locali di Formia: «...per quanto riguarda la vigilanza nei locali di Formia gli Schiavone si sono avvalsi di conoscenze dei Bardellino.. sono a conoscenza dell'indagine relativa alla vigilanza nei locali di Formia, nel cui ambito fu arrestato, tra gli altri, mio cugino Tonziello Vincenzo insieme a Carmine Iovine». La tesi di fondo che supporta la svolta investigativa di questi giorni sia sull'agguato a Gustavo Bardellino che sulla esistenza in vita dello zio, Antonio, riguarda uno scontro tra fazioni. E infatti i sostituti della Dda di Roma, Luigia Spinelli e Francesco Gualteri, sottolineano che «deve rammentarsi come nel comune di Formia da anni ormai risiedono componenti di diverse fazioni di camorra, in passato anche storicamente in contrasto tra loro». Risulta tuttavia dagli atti di questa inchiesta che la famiglia di Ernesto Bardellino e in minore entità Gustavo Bardellino, figlio di Silvio, «avessero riallacciato i rapporti con il vecchio clan dei casalesi, nella persona di Nicola Schiavone, figlio di Francesco-Sandokan per ottenere l'autorizzazione a proseguire i loro affari e spartirsi con questi gli introiti del basso Lazio».

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