Cronaca
04.12.2023 - 17:00
Giuseppe Favoccia ha ancora qualcosa da dire. L'anziano autotrasportatore di animali fu l'unico ad essere arrestato il 26 luglio scorso, per sfortuna forse, perché a casa sua gli investigatori mandati dalla Dda di Napoli a cercare tracce di chi avesse tentato di uccidere Gustavo Bardellino nel febbraio del 2022 trovarono un'arma di dubbia provenienza.
Le perquisizioni furono una ventina, gran parte di ciò che fu acquisito erano documenti e supporti magnetici, invece Favoccia deteneva una pistola semiautomatica alterata e priva di matricola, con relativo munizionamento calibro 7.65. Quando la polizia ha bussato alla sua porta, secondo i verbali della Dda di Napoli, cercò di nasconderla ma poi ammise che l'arma era sua. In carcere poi Favoccia non ci è andato per problemi di salute e negli ultimi giorni ha chiesto di essere ascoltato dai magistrati. Questo pensionato di Formia è un personaggio curioso, talvolta un po' sopra le righe, ma non uno sprovveduto. E' nota la sua amicizia storica con Ernesto Bardellino, fratello di Antonio, il fantasma che si aggira per Formia dopo che sempre durante le perquisizioni di luglio scorso è stato trovato quello che potrebbe essere stato per lungo tempo il bunker del fondatore del clan dei casalesi.
Giuseppe Favoccia, quattro mesi fa è uscito da un comodo oblio per diventare il personaggio chiave di quello che sembra essere il cold case del sud pontino. Infatti proprio Favoccia nel 2015 disse alla polizia di Formia che Antonio Bardellino era vivo e che non era mai stato ucciso, a maggio del 1988, nella lotta per il sopravvento di Francesco Schiavone alla guida del clan dei casalesi.
Sempre secondo quell'appunto del commissariato di Formia di otto anni fa Antonio Bardellino sarebbe stato certamente in Italia nel 2010 e nel 2014 in occasione del matrimonio del figlio di primo letto, cerimonia tenutasi a San Cipriano d'Aversa. Inoltre Favoccia riferì che «lo stesso Bardellino Antonio negli anni novanta aveva comandato la città di New York e che ha avuto grossi interessi in Spagna». Favoccia medesimo lo avrebbe incontrato personalmente presso lo scalo aeroportuale di New York, nel 2010, insieme a parenti stretti, ossia la moglie e la figlia del fratello, Ernesto Bardellino. Per quanto le affermazioni dell'anziano autista siano potute, all'epoca, sembrare strampalate, alla fine quanto che ha detto si è incastrato quasi alla perfezione con ciò che è emerso nel corso delle perquisizioni della scorsa estate, con il ritrovamento del bunker nella casa di Formia appartenuta alla compagna del capoclan e poi passata di mano fino ad arrivare ad un anziano signore che viene definito in atti «un prestanome». Alla luce di questo spaccato per molti versi cinematografico, ciò che conta più di ogni ricostruzione più o meno credibile, è il fatto che Giuseppe Favoccia voglia parlare di nuovo con i magistrati in relazione alla pistola trovata nella sua abitazione e per la quale risponde, al di là delle misure restrittive che devono essere compatibili con il suo stato di salute. L'arma potrebbe non essere sua, contrariamente a quanto dichiarato nell'immediatezza dell'operazione di polizia; ma in questo caso dovrebbe dire di chi è o a chi è appartenuta prima di arrivare nella sua abitazione. Ci sono poi almeno due altri punti deboli in questa vicenda. Perché Favoccia, da amico di famiglia dei Bardellino fece quelle affermazioni alla polizia? E perché dopo quelle dichiarazioni non ci furono riscontri, né Favoccia fu mai più ascoltato fino alla mattina delle perquisizioni?
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