Il caso
02.02.2024 - 11:00
«Era l'intero sistema che minava la mia serenità, sia il clima che si era creato a causa degli interessi della famiglia Zof, sia l'aspetto burocratico, sia l'assegnazione che ritengo di aver vinto per meritocrazia, ma che non sono sicura che dopo sei anni lo avremmo rivinto per meritocrazia, in relazione agli interessi della famiglia Zof o di gente come loro....».
Così la giovane imprenditrice che rinunciò all'assegnazione del primo chiosco descrive meglio di qualunque altra fotografia cos'era l'inferno della selezione pubblica per l'affidamento a tempo determinato dei chioschi della città di Latina. Parole pronunciate nella verbalizzazione della polizia del 19 marzo 2021, quando tutto era già accaduto e che ora, probabilmente, sono uno dei passaggi chiave dell'ordinanza di custodia cautelare che contesta ai componenti della famiglia Zof la turbativa dell'incanto di un affidamento economico tra i più rilevanti.
La donna ha anche detto che dopo la rinuncia all'affidamento della gestione del primo chiosco ricevette una pec dal Comune di Latina «recante la proposta di assegnazione del secondo chiosco, evidentemente perché l'amministrazione aveva ritenuto che la sua rinuncia fosse legata alle contestazioni della famiglia Zof». Dunque era davvero noto a tutti che in quella primavera del 2017 era stato violato un assetto criminale importantissimo e con effetti pericolosi al punto che molti se ne vollero allontanare. C'è negli atti un ulteriore passaggio esplicativo del sistema criminale che aveva messo le mani sui chioschi, certamente sul numero 1. Questo: «... non mi facevano paura (i genitori di Allessandro Zof ndc), almeno non come i figli, in modo particolare uno dei due che avevo appreso aveva sparato a un altro uomo a San Felice e dunque era una persona pericolosa che aveva la disponibilità di armi e capace di usarle.
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