La revoca dell’appalto alla Fiera di Campoverde non è un danno che si può risarcire
Il Tar respinge anche la nuova richiesta della Laziale Scavi per la revoca dell’interdittiva: non c’è pericolo di ristoro per i mancati introiti e quindi nemmeno la necessità di sospendere gli atti
Al momento l’azienda Laziale Scavi non vede la luce dopo che le è piombata addosso l’interdittiva antimafia legata ai rapporti di stretta parentela, ma non solo, del suo titolare, incensurato e non indagato, con uno dei soggetti ritenuti dalla Dda di Roma figura di vertice di una associazione criminale di stampo mafioso che agiva in città.
Dopo l’inchiesta che ha portato all’arresto del fratello del titolare della ditta nel luglio di un anno fa, Fabrizio Antolini ad ottobre, è stato raggiunto - quale responsabile della Laziale Scavi - dell’interdittiva antimafia. Questo ha portato a diverse conseguenze.
La prima, la più importante, è stata una gestione temporanea, quello che in termini tecnici è chiamato controllo giudiziario temporaneo. Si tratta di una sorta di vigilanza prescrittiva, caratterizzata da obblighi di comunicazione di determinate attività o, in alternativa, nella nomina di un amministratore giudiziario con funzioni di controllo ed eventuali prescrizioni.
Ma è anche, per l’azienda che lo chiede, lo strumento con cui fare “pulizia” al suo interno e provare a dimostrare l’intenzione di un ritorno alla piena legalità, al rispetto delle regole e alla cancellazione di qualsivoglia infiltrazione criminale. Di fatto in questo periodo sarebbe stato reciso ogni legame della ditta con l’indagato, Marco Antolini, che era anche stato socio unico. Ma questo, già in una prima richiesta di sospensiva al Tar Lazio, non era bastato a spingere il collegio a revocare, o quanto meno a sospendere in via temporanea gli effetti dell’interdittiva.
Come detto questo atto della Prefettura, ha avuto alcune conseguenze: un’altra è la revoca anche dell’attestazione Soa. Si tratta di un documento rilasciato da enti certificatori autorizzati dall’Anac, che attesta il possesso dei requisiti richiesti per partecipare alle varie gare d’appalto e consente alle imprese di dimostrare di avere le capacità e le competenze per eseguire i lavori pubblici.
Il danno più rilevante per l’azienda però, che colpisce anche il consorzio di cui faceva parte, è la revoca dell’incarico di partecipare ai lavori previsti nell’Area Fiere di Campoverde.
Da qui la decisione di chiedere, di nuovo, al Tar una misura cautelare che sospenda gli effetti dell’interdittiva, ma il collegio ha ritenuto «che non sussistono i presupposti per la concessione di una nuova misura cautelare... in quanto il collegio si è già pronunciato sull’istanza cautelare proposta con il presente ricorso, con ordinanza cautelare... che ha respinto la domanda cautelare motivando sull’assenza di fumus boni juris con riguardo ai motivi di illegittimità del gravato provvedimento interdittivo».
Non rileva nemmeno il fatto che la ditta abbia invece ottenuto l’ok dal giudice penale di accedere alla «misura del controllo volontario (alla quale la ricorrente è stata, peraltro, ammessa successivamente alla pubblicazione dell’ordinanza cautelare), da parte del giudice penale, non può avere alcun rilievo, nemmeno ai fini dell’applicazione dell’art. 58, c.p.a., sulle valutazioni che questo collegio ha già svolto in sede cautelare sull’insussistenza di apparenti profili di fondatezza dei motivi di ricorso e che hanno determinato il diniego di sospensione del provvedimento interdittivo de quo».
Infine quella che potrebbe anche sembrare la beffa, oltre al danno: il collegio infatti ritiene che «che anche gli ulteriori sviluppi fattuali rappresentati (sospensione della SOA, revoca di altre aggiudicazioni) siano le normali conseguenze del pregiudizio arrecato dal provvedimento interdittivo, già valutato, nella sua portata, dal collegio» e che nei fatti non possono essere in alcun modo ritenuti motivo di eventuale risarcimento e quindi non possono essere motivo di una ordinanza di sospensione.
Per la seconda volta quindi, il Tar respinge la richiesta dell’azienda di Fabrizio Antolini e la condanna anche a pagare le spese di giudizio.