«Ci sono state schermaglie in Comune», spiega la testimone. «Cosa significa schermaglie ?» Chiede il pubblico ministero della Direzione Distrettuale Antimafia Francesco Gualtieri alla parte offesa nel processo per le minacce per i chioschi al mare. E lei: «La più eclatante nella sala comunale di Latina, c’era la famiglia Zof e ci dissero che erano qui da 40 anni. Ci dissero “Il chiosco è nostro”. Avevamo partecipato con grande entusiasmo per l’aggiudicazione dei chioschi, avevamo vinto e non abbiamo festeggiato. Ci hanno detto che non dovevamo osare di partecipare al bando e hanno urlato in tono intimidatorio».
E’ la testimonianza della socia di una società che si era aggiudicata il primo chiosco al Lido. Ha raccontato cosa è accaduto in Comune quando arrivò la comunicazione su chi si fosse aggiudicato il primo chiosco.
«Non volevo essere la Giovanna D’Arco di Latina - ha ricordato - la scena che avevo visto in Comune mi aveva spaventato». La parte offesa ha descritto il clima di quei giorni. In sei ore i testimoni hanno ripercorso tutto, molti i «Non ricordo, sono passati quasi dieci anni».
Il proprietario del quarto chiosco ha ricordato della visita di Alessandro Zof insieme al fratello nella sua struttura: «Non c’ero, c’era un mio dipendente, li conoscevo perché erano gli storici gestori del primo chiosco, il Topo beach, il mio dipendente mi disse che chiesero degli amari, mi cercavano e poi buttarono a terra i bicchieri di plastica, non ho mai avuto il minimo problema con loro, non so perché siano passati, non ho subito alcuna minaccia, ma ho vissuto questa cosa come un turbamento». Al testimone il magistrato inquirente ha chiesto del rapporto che ha con Marco Antolini, in carcere per l’inchiesta Assedio di Aprilia della Dda. «Era un mio cliente del chiosco, non gli ho chiesto di intervenire, ha appreso la notizia a pranzo, mentre stavo parlando con il mio collaboratore e ci chiese cosa era successo».
Ha deposto anche il commercialista consulente della società che aveva ottenuto il primo chiosco, «Volarono insulti - ha detto - e furono reciproci - ma la macchina burocratica ha bloccato tutto. Era il sindaco che doveva trovare un accordo». Il pm gli ha ricordato che quando era stato ascoltato a sommarie informazioni aveva parlato di «contesto mafioso» e il professionista ha detto: «Questa parola non rientra nel mio vocabolario». Subito dopo ha testimoniato l’ imprenditore che si era aggiudicato il primo chiosco insieme all’altra socia. «Non siamo stati minacciati», è la sintesi della sua deposizione. Ha negato che Zof lo avrebbe intimidito dicendogli che gli avrebbe mandato una banda di romeni a rompere gli ombrelloni.