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La storia

Prison got Talent: sotto i riflettori, oltre le sbarre

L'iniziativa nasce dall’idea della direttrice della casa circondariale Anna Rita Gentile: un palco, una giuria e quindici finalisti per un progetto che punta a riscrivere il senso della detenzione

Prison got Talent: sotto i riflettori, oltre le sbarre

Tra le mura spesse del carcere, dove ogni giorno assomiglia all’altro e il tempo sembra fermarsi, è bastato un palco allestito nel locale intitolato a Enzo Tortora per accendere qualcosa che lì dentro non si vede spesso: l’emozione. Si chiama Prison Got Talent ed è il primo talent show mai organizzato in un istituto penitenziario italiano. A vincere la prima edizone è stato Tommaso. Un evento nato e svolto nel Casa Circondariale di Velletri e destinato, forse, a diventare un format replicabile in altre carceri.

L’idea porta la firma della direttrice Anna Rita Gentile, che ha voluto immaginare — e poi costruire — una parentesi di talento e dignità dove solitamente si annidano rabbia, solitudine e rimpianti. E non parliamo di una cosa improvvisata: a Velletri ci sono voluti mesi di preparazione, prove, selezioni. E dietro ogni esibizione, una storia, un frammento di umanità riemerso tra le sbarre. Il progetto, organizzato in collaborazione con la Polizia penitenziaria e l’area giuridico-pedagogica del carcere, ha coinvolto quaranta detenuti nella semifinale di luglio. In quindici hanno raggiunto la finale: alcuni hanno cantato, altri danzato, recitato, mostrato movimenti di karate o letto testi di scrittura creativa.

A giudicare le performance una giuria mista: volti noti come la ballerina e presentatrice Rossella Brescia, i cantanti Lavinia Fiorani e Luca Guadagnini, il giornalista e fotografo Luciano Sciurba. Ma il verdetto, in fondo, era quasi secondario rispetto a ciò che si è respirato nel teatro del carcere: una tensione vera, la voglia di essere ascoltati, visti, riconosciuti come persone prima ancora che come detenuti. Come detto in apertura, ha vinto Tommaso, 38 anni, reati comuni, che ha stregato pubblico e giuria con “Ultimamente” di Alex Baroni e con un brano rap scritto da lui, Core core core. «Non riuscivo a dormirci — ha raccontato dopo la vittoria a La Repubblica — aver potuto alzare una coppa qui dentro è una cosa che non dimenticherò mai. Qui tutto è amplificato. Ho visto gioia vera anche nei miei compagni che hanno recitato o cantato. Tra poco uscirò, con il mio conto pagato alla giustizia».

Un messaggio che, a modo suo, ribalta il senso comune di ciò che accade in carcere. Perché questa volta la cronaca non racconta di evasioni, aggressioni o tensioni interne, ma di un tentativo riuscito di offrire un’alternativa, anche solo per un giorno. «Un’idea interessante messa a segno dalla direttrice di Velletri», hanno commentato dal Ministero della Giustizia, come riportato ieri su diversi siti online. «Dai nostri uffici è stato fornito supporto e stiamo verificando, solo in via preliminare, se si possa puntare sui talenti artistici». Nessuna apertura formale, certo, ma una porta socchiusa che fa pensare a un possibile sviluppo.

Nel frattempo, Prison Got Talent ha lasciato una traccia sia dentro che fuori quelle mura.

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