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Di Formia, di arte e altri amori di Giuseppe Supino

Il maestro parla dei gabbiani che spesso compaiono nelle sue opere, ma anche di cultura e dei due teatri «da riaprire»

Di Formia, di arte e altri amori di Giuseppe Supino

Il professor Giuseppe Supino guarda il mare di Formia dal suo magnifico balcone che abbraccia lo skyline del golfo e prende dal pacchetto la terza Muratti della mattinata. «Mi piace disegnare i gabbiani perché sono il simbolo della libertà. Con queste mani ho disegnato tanto, aveva ragione De Chirico. Quando l’ho conosciuto a Roma e mi ha visto disegnare, mi disse: non pensare a ciò che fai oggi ma a ciò che farai domani». Ultranovantenne, lucidissimo e appassionato, Supino è reduce di una bella mostra (una delle tante della sua vita) a Gaeta, dove spiccavano i volti di un Gesù tratteggiato con la matita sanguigna di creta rossa e che ora sono nel salotto, dove il maestro ogni giorno riceve visite e telefonate, prende appunti e commissioni di opere, spesso parla con i suoi studenti e gli allievi dei concorsi di arte che negli anni ha preparato e seguito. Alcuni sono alunni poi diventati famosi, come Adriano Panatta. Gli atleti che frequentavano il campo Coni di Formia si iscrivevano, talvolta per brevi periodi, negli istituti scolastici della città e Giuseppe Supino è stato docente al Geometri e poi al Magistrale.

Di alcuni, i più bravi, conserva i disegni dei compiti in classe e dei lavori a casa. «Guarda questo», dice prendendo una cartellina che avrà quasi 50 anni e sembra nuova. Contiene disegni su una carta che appare preziosa e introvabile, i tratti e i calcoli sono di una precisione impressionante. A margine la firma dell’alunno: Ennio Raus - 1965. «E’ stato uno dei più bravi, non c’è più adesso. Un professionista eccellente, conservo i suoi disegni come un dono della mia vita da insegnante, un lavoro che ho amato e che non ho mai voluto lasciare, nemmeno quando sono stato impegnatissimo con le mostre, né quando il successo cresceva. Il ricordo dei miei alunni è una delle cose più preziose che ho». Nonostante la fama e le mostre in giro per il mondo è difficile, se non impossibile, trovare opere del professore in spazi pubblici della città. Lui amerebbe che Formia avesse una pinacoteca, eppure non è stato possibile realizzarla anche se il patrimonio storico è notevole. Formia e la cultura è un argomento che brucia. «Io ho inseguito la cultura e me ne sono nutrito, me la sono portata dietro nelle scuole di Formia e poi a Priverno. Dovrebbe essere il primo pensiero di tutti noi. La nostra città ne ha bisogno. Io spero che presto riapra i suoi due teatri, perché è lì, a teatro, che si sostanzia il nostro passaggio su questa terra, il nostro oggi e il nostro domani». E’ difficile farsi spazio nella casa del professore, ci sono quadri e disegni ovunque, una produzione vasta e passionale. Lui li indica uno ad uno, sa dove sta ogni suo disegno, in quale stanza ed esattamente su quale mobile. Però la sua vera vita di artista non si è svolta in quell’appartamento-galleria, bensì al piano di sopra in un terrazzo che è stato ed è il suo laboratorio di pittura, pieno di pennelli, matite, tele, angoli di posa.

Lì non arriva l’ascensore del palazzo anni 70 di via Ascatiello e quindi lui, ora costretto a stare su una carrozzina per via dell’età e delle operazioni subite, si arrampica, letteralmente, per le scale e torna a disegnare lassù, di fronte al mare, col castello di Gaeta sullo sfondo e Ischia che sembra a portata di mano. «Ho 94 anni, una tartaruga che si chiama Cicià e mangia biscotti, giornate piene di impegni e molte storie da raccontare che parlano delle mie opere. L’arte è stata il grande amore della mia vita. Poi ne ho avuto anche un altro di amore, fisico, ma non è andata come doveva e sono qui, innamorato di questo panorama che continua ad ispirarmi ogni giorno. Vorrei parlare solo delle cose belle anche se ne ho vissute di molto brutte. Sono felice perché ho potuto fare ciò che desideravo. Lo sa che avevo uno zio giudice che voleva per forza che anche io mi iscrivessi a Giurisprudenza? Non lo feci e lui si è talmente offeso che mi ha tolto il saluto. Abbiamo vissuto per anni nella stessa casa senza parlarci».

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