L'evento
02.11.2025 - 13:00
Una notte di luna piena, e uno sposo rimasto solo che improvvisamente viene proiettato in un contesto onirico dai versi dannunziani, per intraprendere insieme al pubblico un viaggio di conoscenza, introdotto dal ritmo di alcune note jazz. È grande la curiosità che precede la messa in scena del secondo spettacolo della Stagione di Prosa del Teatro D’Annunzio, un lavoro dedicato al celebre poeta di Pescara il cui nome ora campeggia sull’iscrizione marmorea apposta sul fronte dell’ingresso teatrale, e a una delle sue opere più celebri - La figlia di Iorio - con tutte le profonde riflessioni che genera e, perché no, la sua attualità.
Adattamento e regia di Danilo Proia, “D’Annunzio Jazz” è in programma a Latina domenica 9 novembre alle ore 18, interpretato da Elisabetta Femiano nel ruolo di Mila, dallo stesso Danilo Proia in quello di Aligi, e da Emanuele Vezzoli (già in teatro con Zeffirelli, Franco Parenti, Proclemer-Ferzetti, Turi Ferro, Valentina Cortese, Rossella Falk) nel ruolo di Lazaro di Roio. Suonano dal vivo Simone Salvatori e Laura Venditti, rispettivamente chitarra e sax. A restituire con il canto il ruolo di Vienda attraverso la voce, è Maria Chiara Sorbo.
Abbiamo avvicinato Elisabetta Femiano, attrice pontina formatasi tra Vienna, Milano, Parigi, Lisbona, Roma, al fianco di grandi Maestri, che parecchi anni fa ha scelto di tornare a Latina per restituire al pubblico del suo territorio un bagaglio di esperienze professionali e di sapere che continua ad arricchirsi.
Elisabetta, sempre così innamorata del teatro! Che cosa dobbiamo aspettarci questa volta?
"Quando il sipario si apre, vedrete Aligi solo con la sua promessa sposa Vienda. Si è appena conclusa la festa pre-matrimoniale. Tra balli e musica, i due amoreggiano e tutto sembra volgere al meglio quando improvvisamente entra in casa una donna. È Mila di Codra, figlia di Iorio, che afferma di essere inseguita da uomini che vogliono violentarla. Alle ripetute richieste di aiuto nessuno risponde e Aligi, incitato dalle voci di diffidenza, odio e paura, si lascia convincere di colpirla a morte. Mentre è in procinto di sferrare il colpo, un ‘Angelo muto e piangente’ gli appare nel suo splendore. La visione ferma l’intento omicida di Aligi permettendo a Mila di salvarsi. Fuggiti, Aligi e Mila si ritrovano a vivere insieme, ma i sogni di Aligi volgono verso un tragico epilogo quando entra in scena Lazaro di Roio. La mano del figlio contro la mano del padre. Sarà Mila a salvare Aligi dall’imminente condanna a morte, accusando se stessa e celebrando la fiamma purificatrice".
Lo spettacolo è il frutto di un interessante progetto di Danilo Proia dedicato a D’Annunzio, nato prima come lettura scenica circa cinque anni fa, per poi approdare a Pescara, e ora ripreso e trasformato per debuttare sul palco in forma di vera e propria rappresentazione teatrale, mettendo in rilievo il discorso del linguaggio e aggiungendo delle scene con l’ingresso del padre di Aligi. Perché D’Annunzio?
"L’aspetto di D’Annunzio che più ci interessa e ci ha ispirato è quello del poeta e del drammaturgo, una figura imponente che ha fatto del Teatro del 1900 qualche cosa di veramente spettacolare, soprattutto con ‘La Figlia di Iorio’ che ha scompigliato il palcoscenico di allora se pensiamo che ha debuttato nel 1904 al Lirico di Milano ottenendo un successo enorme. È proprio qui, in questo lavoro, che il poeta e il drammaturgo trovano un equilibrio perfetto. D’Annunzio realizza quell’intento fortemente sentito, di un teatro che abbia il suo fondamento e le sue radici più profonde nella coscienza ‘mitica’. Utilizza la poesia per inventare una nuova forma di teatro e restituire una autentica vitalità a una scena italiana stantia e ormai ripiegata su se stessa".
E perchè il jazz, quale assonanza con il poeta?
"D’Annunzio è stato un innovatore, l’intellettuale di intervento, il drammaturgo che mette in equilibrio la liricità del poeta e la teatralità dell’uomo da palcoscenico. Fu uno dei primi ad introdurre il concetto di ‘regista estensivo’, ossia di colui che concerta i diversi aspetti della scena teatrale - dai costumi agli arredi, rivolgendosi a grandi nomi del panorama italiani ed europei -, cosa che oggi appare ovvia ma che in quei primi anni del Novecento fu di grande impatto. È in questa ottica che la rivisitazione della tragedia ‘La figlia di Iorio’ che ne fa Danilo restituisce il significato di jazz".
Lei interpreta la figura di Mila, ce ne parli?
"Nello spettacolo tutti gli esemplari archetipici della terra dannunziana quali la Madre, il Padre, il Figlio, la Sposa, la Superstizione, il Rito, rappresentati dalla genuinità animica del pastore Aligi, vengono confutati e messi in discussione da lei, Mila: la sortiera, la svergognata, la portatrice di un pensiero nuovo, colei che capovolge la clessidra inaugurando il nuovo Tempo".
Una storia di amore e sacrificio, ma anche una bella sfida teatrale giusto?
"Sì, il recupero dello spirito del teatro tragico viene restituito con le inquietudini di personaggi modernissimi: un armonioso equilibrio tra passato e presente, ma anche un viaggio avvolto nelle nebbie dell’onirico rivelatore di enigmi e di conoscenze".
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