Personaggi
28.11.2025 - 12:34
Il pianista Francesco Taskayali porta in scena il concerto racconto “Le isole della memoria” presso Hacienda a Roma, il prossimo 30 novembre. È un viaggio interiore che diventa storia da condividere, emozione, incontro, rifugio dal caos della vita. Un ritorno a se stessi. A pochi giorni dall’evento, lo abbiamo intervistato.
Lei ha origini italo-turche e ha vissuto tra Roma, Istanbul e Latina: in che modo queste radici e questi spostamenti hanno influenzato il suo stile musicale?
"Moltissimo. Sono nato a Roma, ho passato l’infanzia a Istanbul, poi ci sono tornato da adolescente per finire il liceo. Vivere contrasti così forti — la metropoli enorme da un lato e la provincia dall’altro — ti mette davanti a prospettive diversissime. A Istanbul ero immerso in ritmi orientali, tempi dispari, una musicalità ricca e fuori dagli schemi. Ricordo la musica vissuta in modo molto conviviale: il salone di casa sempre pieno di persone, amici di famiglia che suonavano insieme, strumenti ovunque. A Latina, dove ho vissuto dai 6 ai 16 anni, ho invece sperimentato un’altra dimensione: meno caos, più silenzio, paesaggi naturali e 30 km di mare quasi ‘tutti per me’, soprattutto in autunno e primavera. Era un luogo bianco, un grande limbo creativo utile per guardarsi dentro. E proprio lì ho iniziato lo studio del pianoforte, a 7 anni, con un maestro che mi ha dato una formazione più classica e strutturata. Mettere insieme queste due anime — libera e rigorosa, orientale e occidentale, urbana e provinciale — è stato per me un enorme arricchimento".
Quando ha scoperto la passione per la musica?
"Ho iniziato a scrivere a Latina, intorno ai 10 anni. A 13 ho composto il mio primo brano vero, che si chiamava ‘Sera’. Guardando anche gli altri artisti usciti da quella città, penso che la provincia ti offra qualcosa di prezioso: la possibilità di esplorarti senza distrazioni e costruire un tuo immaginario. Gran parte dei primi tre album — e in generale molti miei dischi — li ho scritti proprio nella casa della mia infanzia lì. Era il mio spazio ‘safe’, un rifugio creativo dove riflettere e trasformare in musica le cose vissute".
Il 30 novembre terrà il concerto “Le isole della memoria” all’Hacienda, a Roma. Come nasce questo titolo?
"Nasce da un’esperienza reale. Durante il Covid mi sono trasferito a Ventotene per scrivere nuova musica: un periodo magico, in cui l’isola è diventata la mia colonna sonora. Il titolo viene dall’idea che ognuno di noi abbia delle ‘isole interiori’: luoghi, persone, case dell’infanzia, ricordi dove il tempo non scorre mai davvero. Il concerto comincia con lettere scritte a mano, proprio per evocare quell’accesso unico e personale ai nostri mondi interni. Da lì inizia un viaggio musicale che parte dall’isola vera — un brano dedicato alla primavera di Ventotene — e attraversa le sue storie. Tra queste c’è quella di Nicola, oggi guardiano del cimitero dell’isola: un ex contabile che, innamoratosi del luogo, rimase accanto alla moglie sepolta lì, convinto che in qualche modo non se ne fosse mai andata. Quando incontro queste persone, capisco che alcune vite diventano esse stesse delle isole emotive".
Che tipo di concerto sarà? Solo piano o anche altri elementi?
"Sarà principalmente solo pianoforte, in entrambi i set: uno alle 19:00 e uno alle 21:00, quindi due piccoli concerti nella stessa sera. Ci sarà però una sorpresa: verrà a suonare con me il compositore Francesco Santucci — con cui collaboro da anni, autore delle musiche di Suburra. Dovrebbe esserci in entrambi i set, sempre che non gli ceda la mano (ride)".
C’è un tema, un messaggio o un suono che vuole esplorare in futuro e che sente ancora lontano?
"Negli ultimi progetti ho lavorato moltissimo sull’incontro tra culture, come nel festival di Palermo dove l’idea era proprio creare un ponte culturale con artisti da tutto il mondo. Ecco: i ponti culturali. Credo che la musica possa essere un linguaggio che collega mondi diversi, persone diverse, sensibilità diverse — un ponte tra ciò che siamo e ciò che non siamo ancora riusciti a capire. Penso che continuerò a cercare questo nella mia musica: creare connessioni, misture nuove, dialoghi tra dimensioni apparentemente lontane".
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