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Il caso

Patenti facili, atti inviati al Riesame

Nei giorni scorsi in Cassazione discusso il ricorso di Caiani

Patenti facili, atti  inviati al Riesame

E’ stato discusso nei giorni scorsi il caso in Corte di Cassazione per lo scandalo patenti che aveva portato all’esecuzione di alcune misure restrittive eseguite a gennaio. I giudici della Suprema Corte hanno riqualificato in appello cautelare la richiesta di revoca che risale al 23 gennaio dell’ordinanza restrittiva, presentata dagli avvocati Gaetano Marino e Massimo Frisetti, legali di Claudio Caiani.

L’istanza era stata depositata al termine dell’interrogatorio di garanzia e il gip aveva respinto la richiesta. In un secondo momento il magistrato aveva sostituito la misura cautelare degli arresti domiciliari con gli obblighi di polizia giudiziaria nei confronti di Claudio Caiani, Antonio Villani, Adrian Dinu, Giovanni Chiariello, a seguito in questo caso del pronunciamento del Riesame del 28 febbraio.

«Pur permanenti le esigenze cautelari - devono ritenersi attenuate tenuto conto dell’annullamento da parte del Tribunale del Riesame di alcuni capi - aveva messo in luce il gip - che anche se in relazione al Riesame presentato da altri coindagati, si ritiene che allo stato le esigenze cautelari possano essere tutelate attraverso la misura dell’obbligo giornaliero di presentazione alla polizia giudiziaria». Per l’accusa come riportato nelle carte dell’inchiesta, «gli indagati avevano costituito una associazione per delinquere dedita a consentire a terzi di ottenere la patente di guida attraverso sistemi fraudolenti per falsare gli esiti dell’esame. Soldi in cambio di un aiuto decisivo per passare l’esame.

«Non si può negare l’esistenza di quell’apparato minimo e rudimentale di mezzi che per la giurisprudenza di legittimità è sufficiente ad integrare il reato associativo», avevano scritto i giudici nelle motivazioni sostenendo che l’ipotesi di reato da contestare non era il falso ideologico come ipotizzato dagli inquirenti ma una legge che risale a cento anni fa, del 19 aprile del 1925 che punisce chi copia ad un concorso e riguarda «la repressione della falsa attribuzione di lavori altrui da parte di aspiranti al conferimento di lauree, diplomi, titoli», come nel caso della patente. Per i magistrati per il plagio non erano necessarie le intercettazioni.

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