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I fatti

Il ricorso è scritto con l'intelligenza artificiale: il giudice lo respinge

Il magistrato rimprovera l'avvocato: scarsa qualità degli scritti difensivi. Succede al Tribunale di Latina

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Se non c’è un controllo costante l’uso dell’intelligenza artificiale negli atti giudiziari può portare anche ad una condanna. Il primo caso segnalato a Firenze lo scorso marzo, poi altri casi a Torino e Brescia. Adesso c’è un caso destinato a fare discutere con un processo che si è concluso nei giorni scorsi  in Tribunale di Latina nella sezione lavoro.  E’ quello che è successo lo scorso 23 settembre come riportato da La Nuova procedura civile.  

E’ il giudice del lavoro Valentina Avarello che «riprende» un avvocato per aver portato la linea di difesa con l’Intelligenza artificiale e rigetta di conseguenza l’istanza  del ricorrente. Nelle motivazioni del provvedimento il magistrato ricostruisce i fatti che hanno portato al rigetto.  «Il ricorso giudiziario come tutti gli altri centinaia di giudizi patrocinati dal medesimo difensore, risulta evidentemente redatto con strumenti di intelligenza artificiale, tanto è evidente non solo dalla gestione del procedimento ma soprattutto dalla scarsa qualità degli scritti difensivi e dalla totale mancanza di pertinenza o rilevanza - scrive il giudice -  degli argomenti utilizzati: l’atto infatti è composto da un coacervo di citazione normative e giurisprudenziali astratte, prive di ordine logico ed in gran parte inconferenti rispetto al thema decidenudm ed in ogni caso manifestatamente infondate».


Il caso riguardava un ricorso relativo ad un  credito contributivo portato da un avviso di addebito dell’Inps. Durante il giudizio che si era svolto nella sezione lavoro di via Fabio Filizi,  erano venute alla luce delle anomalie con riferimento alla gestione del procedimento da parte del legale. In base a quanto è emerso il  Tribunale di Latina sulla scorta della gestione  anomala del procedimento e dell’utilizzo dell’intelligenza artificiale nel presentare il ricorso ha qualificato l’azione come introdotta in malafede o con grave negligenza, condannando in questo modo  al pagamento di somme sia in favore della controparte che della cassa delle ammende.  Il ricorrente - è riportato  secondo quanto emerso dalla memoria di costituzione del convenuto -  aveva  presentato la stessa domanda in un altro procedimento pendente dinanzi al medesimo Tribunale.
Il giudice alla fine rimprovera l’avvocato sostenendo che ci sia stata negligenza  e malafede nell’assistere il proprio assistito e lo condanna, rifacendosi all’articolo 96 del codice di procedura civile, al pagamento di una sanzione

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