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Giudiziaria

Rimborsi gonfiati, tutto prescritto per l'ex sindaco Terra e gli altri imputati

La sentenza del Tribunale nel processo all'ex sindaco, Savini, Cosentino e Martini: erano accusati di falso ideologico e truffa aggravata ai danni del Comune di Aprilia

L'ex sindaco Terra davanti al Tribunale di Latina

L'ex sindaco Terra davanti al Tribunale di Latina

Si conclude con la prescrizione per tutti il processo sui «rimborsi gonfiati» che ha visto sul banco degli imputati l'ex sindaco di Aprilia e attuale consigliere comunale Antonio Terra, gli ex assessori Rino Savini e Cataldo Cosentino e l'avvocato Antonio Martini. Ieri il giudice del Tribunale di Latina, Enrica Villani, ha emesso la sentenza di estinzione del reato per i quattro, che erano accusati in concorso di falso ideologico e truffa aggravata ai danni del Comune di Aprilia.
L'indagine che ha dato origine al processo partì da un esposto presentato nel 2017 dall'allora consigliera comunale Carmen Porcelli, la vicenda riguarda la rifusione delle spese legali avanzata nel 2014 da Terra, Cosentino e Savini per una causa vinta davanti alla Corte dei Conti che risaliva al periodo nel quale erano assessori della giunta Meddi (2002-04). I tre - tutti assistiti dall'avvocato Martini - avevano infatti richiesto e ottenuto dal Comune di Aprilia 20mila euro come rimborso per le spese sostenute. Secondo gli investigatori una cifra pagata solo in parte al legale per ottenere un illecito guadagno, che accusava i quattro di aver coordinato un'attività per ricevere un rimborso maggiorato. Una tesi portata avanti dagli inquirenti sulla base di una discrepanza tra quanto certificato e i bonifici e gli assegni versati.
Per questo nel febbraio 2017 il pm Giuseppe Miliano effettuò un sequestro preventivo operato dalla Questura di Latina sull'intera somma rimborsata. Successivamente il Tribunale del Riesame accolse il ricorso, ridimensionando sensibilmente l'entità del sequestro e limitandolo alla somma non bonificata: 2.850 euro per Terra, 2.500 per Savini e poco più di 50 euro per Cosentino.
Il rinvio a giudizio risale al 2018 ma in questi cinque anni tra difetti di notifica, testimoni impossibilitati a presenziare e interruzioni a causa della pandemia Covid sono state poche le udienze dibattimentali. E in questo modo sono maturati i termini per la prescrizione. Per questo nell'udienza di ieri sia l'accusa che il collegio difensivo hanno sottolineato e chiesto l'estinzione del reato per intervenuta prescrizione e la restituzione agli aventi diritto della parte della somma ancora sotto sequestro. E il giudice dopo essersi ritirato in camera di consiglio ha letto la sentenza.
Adesso bisognerà attendere le motivazioni ma intanto le difese degli imputati mostrano soddisfazione per l'esito del procedimento. «Secondo me non c'erano i presupposti per portare avanti l'azione penale, perché c'era prova documentale dei pagamenti. Semmai l'inquirente avesse voluto rintracciare un'ipotesi delittuosa - afferma l'avvocato Donato Felline, difensore di Savini - avrebbe dovuto restringere il campo a una mera irregolarità fiscale, che di certo però non può essere attribuita a chi paga. Questo è stato fin dall'inizio il nostro paradigma difensivo e mi spiace che non ci sia stato modo di approfondire ciò in giudizio. La prova implicita di quello che fin da subito abbiamo sostenuto è comunque emersa chiaramente nel provvedimento intermedio dove il sequestro preventivo fu ridotto alle somme non tracciate con bonifico, poche migliaia di euro per Terra e Savini e 50 euro per Cosentino. Ma in questo caso abbiamo spiegato che quei pagamenti vennero fatti in contanti, un sistema assolutamente consentito dal governo. Le carte di chi ha pagato erano assolutamente regolari».

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