L'intervista
01.07.2024 - 12:30
Il recente dibattito sul ruolo dell'Università nella città ha rilanciato la necessità di capire su quali funzioni e quali vocazioni si debba concentrare la città di Latina per avviare, finalmente, un percorso di crescita economica. Ne parliamo con Marcello Ciccarelli, militante storico della sinistra, ex docente di matematica, ultimamente anche scrittore e sempre foriero di analisi critiche lucide e ragionate che offrono spunti di dibattito.
Ciccarelli, partiamo da Latina. Come vede la sua città?
Siamo in un brutto periodo per la città e il suo territorio. Non solo non troviamo la chiave per un’ipotesi di sviluppo economico, ma ora abbiamo anche problemi di immagine. Eravamo appena riusciti a far dimenticare l’affaire Maietta e company che ora dobbiamo scontare i casi di sfruttamento della Karibu e dei braccianti con il brutale epilogo di Satnam Singh. E’ inutile girarci intorno: siamo percepiti come la terra dello sfruttamento dei lavoratori, molto lontani dalla città dell’accoglienza che ci piacerebbe vantare.
Come si cambia questa percezione secondo lei?
Una buona politica culturale aiuterebbe almeno a ricostruire un’immagine della città. Sarebbe però necessaria una grande unità d’intenti e contributi. Invece noto un processo di verticalizzazione nelle decisioni. Si procede a strappi, senza confronto, non utilizzando le migliori energie. Mi riferisco a iniziative prese e da prendere, come la proposta di Latina a capitale della cultura, la destinazione per 30 anni del Ruspi e della Banca d’Italia e la Legge sul centenario. Ecco forse questa può essere utile ora che gli emendamenti delle opposizioni hanno spostato il focus dalla Fondazione e dal periodo fascista al più ampio Novecento.
Ha accennato a Ruspi ed ex Banca d'Italia che il Comune si prepara ad affidare a La Sapienza, e mi pare di capire che non le è piaciuta questa scelta.
Penso che questo accordo con la Sapienza sia sbagliato perché figlio di un’idea superata di Università. Si continua ad immaginarla quale strumento per vivacizzare il centro storico. Così come immaginiamo il collegamento con il territorio. Cosa vuol dire “Facoltà legata al territorio”? E’ una formula riduttiva, valida per un Istituto tecnico professionale non per una moderna Università. Oramai questa si caratterizza per le specializzazioni delle sue facoltà e per il trasferimento del loro know how scientifico sul territorio. Facciamo un passo indietro. Il nostro polo universitario è stato concepito, negli anni novanta, per risolvere il sovraffollamento della Sapienza. Ora è venuto tempo della sua completa qualificazione. Intanto lauree magistrali per ogni corso, poi più dottorati, più assegni di ricerca. Infine per la proiezione sul territorio al fine di innovare i processi produttivi dobbiamo pensare ad intese e leggi con la Regione, la CCIAA, le aziende locali. Servono incubatori d’impresa, fondi per le start up, sostegno a società di giovani ricercatori, società di consulenza aziendale...
E non ritiene che in questa visione sia importante affidare nuovi spazi all'ateneo?
Certamente. Ma non nel modo in cui sta procedendo l'amministrazione. Le scelte del Ruspi e Banca prevedono un’Università diffusa con studenti e docenti che pendolano, come anime perse, da una sede all’altra della città. Un’idea di città universitaria peripatetica. L’università nel centro storico è un’idea urbanistica pensata nel XX secolo per ripopolare i centri urbani delle città medievali, come Camerino, Perugia…. Il nostro polo ha più di 4000 studenti quasi tutti della città e dall’hinterland. Ecco. Partiamo dalle loro attuali esigenze! Dovremmo pensare a formare una cittadella universitaria completa nei servizi. Una cittadella che ha bisogno di un’opera di compattamento dei suoi luoghi e non della loro diffusione sul territorio.
Una cittadella che preveda altre sedi?
Per costruire il nostro campus è più opportuno assegnare all’Università l’ex tabacchificio e altre sedi limitrofe come il Conservatorio anziché il Ruspi e la Banca d’Italia, fra l’altro non utilizzabile come aule, la maggior carenza attuale. Sarebbe l’avvio concreto per un nostro campus con il ritorno di una valorizzazione urbanistica di una zona oggi solo periferia. Inoltre ci sarebbero pure i terreni edificabili all’interno della facoltà di Economia per nuovi servizi come la mensa e uno spazio di studio per tutti.
E a questo punto cosa fare del Ruspi e della Banca d’Italia?
Il Ruspi è un luogo da adibire a mostre. Sarebbe utile un’intesa, per centri quali il Maxxi, per ospitare eventi che funzionino anche come attrattori turistici. Per le esigenze locali sarebbe sufficiente destinare uno spazio, pur minimo, per i nostri artisti.
Per la Banca d’Italia non mi azzardo a prevedere una destinazione vista la sua particolare disposizione degli spazi interni e dei vincoli della Soprintendenza. Posso però dire che il suo uso deve essere parte di un ragionamento che preveda la qualificazione di tutte le nostre sedi istituzionali culturali. Penso all’Archivio di stato, il cui attuale affitto coprirebbe le spesse del mutuo, alla nostra biblioteca e al suo fondo storico, alla Pinacoteca, al Conservatorio, al Dizionario della musica, …
A Latina c'è sempre stato un grande fermento di associazioni e operatori culturali, ma poco seguito e sorretto dalle amministrazioni.
Oggi il Comune non è in grado di offrire spazi pubblici, se non a costi proibitivi, per una mostra, una presentazione di libri, per una rappresentazione musicale o teatrale degli operatori culturali locali, per un convegno... Eppure abbiamo un patrimonio edilizio scolastico notevole. Il vice sindaco Carnevale ha detto che può contare su 70 edifici: 6 asili nido, 38 scuole materne, 27 scuole elementari e 10 scuole medie. A tutto questo si aggiungono ben 18 strutture di scuole secondarie di secondo grado. Non ho un dato preciso ma, per conoscenza diretta, credo che tutte le scuole comprensive e quelle secondarie abbiano strutture attrezzate per spettacoli e altro. Possibile che il Comune e l’A. P. non riescano a varare comuni misure amministrative per metterle a disposizione anche dei nostri operatori, delle associazioni del territorio? ‘Quelli di prima’ avevano cominciato con le case di quartiere. Secondo me è un percorso virtuoso. Magari con formule di uso meno burocratiche e modulate sul tipo di edificio.
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