Arrivano ogni giorno, chiedono di un responsabile e prima ancora di avere la certezza di essere ricevuti si costituiscono all'interlocutore: «Sono qui perché ho un problema di dipendenza». Che si tratti di cocaina piuttosto che di eroina, di alcol piuttosto che di cannabinoidi o pasticche, per gli operatori del Servizio Dipendenze della Asl fa poca differenza: il percorso di recupero è lungo, pieno di insidie e contrattempi, ma sempre possibile. A fare la differenza, ogni volta, è il paziente con la sua determinazione, la sua voglia di uscire da una situazione che si è fatta pesante e difficile da gestire, e soprattutto con la consapevolezza che per superare la dipendenza ci vuole il sostegno di una struttura qualificata.
«Vengono dal capoluogo, da Sabaudia e da Pontinia, da Sermoneta e da Norma, che sono i centri di riferimento del Distretto Latina 2 del Ser.D., con un bacino di utenza di circa 200.000 persone - spiega il dottor Carlo De Mei, dirigente del servizio – Sono molti di più i soggetti di sesso maschile e nel complesso sono in sensibile aumento rispetto al trend degli anni precedenti. Nel 2017 l'aumento dei casi trattati (dipendenze da sostanze stupefacenti e da alcol) è stato di 83 unità in più rispetto all'anno precedente». A farla da padrona, come tipologia di sostanza che crea dipendenza, resta sempre l'eroina, benché la percentuale di crescita degli assuntori di cocaina che si rivolgono al Ser.D. sia ultimamente molto più alta rispetto ad ogni altro tipo di sostanza stupefacente. Ed anche con i cannabinoidi non si scherza: benché il senso comune voglia che il «fumo» non crei dipendenza, il raddoppio dei casi di persone che si rivolgono allo staff del dottor De Mei per uscire da uno stato di dipendenza dice esattamente il contrario.
Siamo stati educati a considerare alcune sostanze più pericolose di altre, ma forse a fare davvero la differenza è la predisposizione degli individui a trasformarsi in un «dipendente», non importa di quale sostanza.
«Quando vengono da noi, la prima cosa che facciamo è registrare il caso e aprire una cartella clinica annotando le prime sommarie informazioni che ci vengono rese dallo stesso paziente. In genere sono diffidenti, ma questo è normale per qualsiasi approccio terapeutico. Poi fissiamo degli appuntamenti periodici, un paio di volte a settimana, per una durata di circa 60 giorni, un periodo di osservazione necessario per farci capire quale sia l'effettiva determinazione del paziente a voler superare lo stato di dipendenza».
Gli assuntori di eroina entrano pressoché immediatamente nel sistema di distribuzione del metadone o bupremorfina, per allentare da subito la morsa della dipendenza, mentre per la cocaina non ci sono sostitutivi e l'unica forma terapeutica è quella del controllo delle urine, e dalla disponibilità dell'utente a collaborare si riesce in genere a capire perché sia finito al Ser.D., compresi quelli che vanno su consiglio dell'avvocato per evitare il carcere con un certificato ufficiale di tossicodipendenza, anche se poi esiste un Sert anche all'interno degli istituti di pena, dove i detenuti sono per la stragrande maggioranza tossicodipendenti autodichiarati.
«La verità è che per fare una diagnosi corretta di tossicodipendenza ci vuole almeno un anno di osservazione del paziente – spiega De Mei – Prima di quel termine possiamo soltanto limitarci a parlare di uso e abuso di sostanze. E quello che è davvero importante, durante il tempo che impieghiamo a capire chi abbiamo di fronte, è il coinvolgimento della famiglia, senza la quale tutto diventa estremamente più complicato. Perché dove c'è una dipendenza c'è una famiglia che si è ammalata anche lei, e chi ha voglia di guarire deve tornare a vivere in un ambiente favorevole, consapevole e sufficientemente sano».
Il versante sul quale gli operatori del Ser.D. registrano le maggiori soddisfazioni è quello dell'alcolismo, con percentuali di successo grazie al metodo Vudolin e al suo approccio ecologico-sociale. I tempi di superamento della dipendenza, nei casi ottimali variano dai 18 ai 24 mesi in ambito ambulatoriale, ma anche la comunità richiede più o meno gli stessi tempi, almeno 18 mesi più un periodo di reinserimento sociale. «Anche nel caso della terapia seguita in comunità, mentre il paziente è fuori il Ser.D. lavora sulla famiglia, perché al ritorno a casa non deve trovare lo stesso ambiente che aveva lasciato - sottolinea ancora De Mei – La risposta alle dipendenze deve essere corale, altrimenti si rischia di fare un buco nell'acqua e disperdere inutilmente energie».
Già, l'acqua. Cosa c'entra? Una campagna di monitoraggio condotta dall'università di Varese in collaborazione con l'istituto Mario Negri di Milano su quattro depuratori di altrettante città di provincia italiane, Cagliari, Cuneo, Varese e Latina, ha portato ad accertare che le concentrazioni di benzoilecgonina (BE), il principale metabolita della cocaina, raggiungono livelli di concentrazione impensabili. Nel depuratore preso in esame a Latina, i dati scientifici parlano del passaggio di almeno 12 chilogrammi di cocaina all'anno, ed è emerso anche che i campionamenti effettuati nel fine settimana fanno registrare incrementi di concentrazione di BE fino al 40 o 50% rispetto ai giorni feriali. Un indicatore incontrovertibile sull'abitudine diffusa e generalizzata ad usare la cocaina per lo sballo del week end. Anche perché parlare di 12 chilogrammi di cocaina l'anno in un depuratore significa che quello è il totale delle tracce rinvenute sotto forma di scorie; e se è impossibile stabilire a quanta cocaina effettivamente assunta o sniffata equivalgano quei 12 chili di sostanza finita nelle acque di depurazione, resta il fatto che si tratta comunque di una montagna di cocaina che non trova alcun effettivo riscontro nei dati elaborati dal Ser.D. in base ai casi delle persone che si presentano spontaneamente nella struttura per disintossicarsi. Così, per uno che cerca di dire basta, ce ne sono altri cento, forse di più, che continuano a farsi con la convinzione di essere comunque in grado di controllare la sostanza senza diventarne schiavi. Ma non è davvero così.
Ecco perché avere 200 casi in trattamento tra tossicodipendenti e alcolisti (le cartelle aperte presso il Ser.D. sono comunque 6.000) significa poter contare sulla consapevolezza di circa lo 0,1% della popolazione di riferimento. Poca cosa.
E tornando ai depuratori, a Latina non c'è soltanto quello utilizzato dai ricercatori per prelevare i campioni di acque reflue, il che la dice lunga sulla diffusione della cocaina in città. Ma c'è un ulteriore aspetto da considerare: nel loro trattamento delle acque, i depuratori non riescono a trattenere tutte le sostanze presenti, ed una di quelle che sfugge alla «cattura» è appunto la benzoilecgonina, che finisce tutta nello scarico finale, cioè in mare. Ovviamente insieme ai metaboliti della cocaina ci sono anche quelli dei farmaci, dei calmanti e degli antidolorifici, delle amfetamine e delle metamfetamine e via di seguito. Insomma, in un depuratore si può osservare tutta la chimica che transita in una città, dunque anche lo stato complessivo della salute umana di una comunità. Gli effetti sulla fauna ittica? I pesci subiscono modificazioni genetiche, ma lo fanno in silenzio, come è nel loro stile. Più avanti saranno le loro carni, proprio quelle mangiamo abitualmente, a dirci fin dove ci siamo spinti, e con quali effetti di ritorno.
L'acqua, in ordine di percezione, è l'ultimo dei problemi derivati dall'uso di sostanze stupefacenti. Prima vengono le carceri, costrette ad una organizzazione interna in base alla classificazione dei detenuti in tossicodipendenti-non tossicodipendenti; poi le comunità terapeutiche; poi i fenomeni di microcriminalità connessi allo spaccio degli stupefacenti; poi i casi di devianza provocati da un uso eccessivo e protratto nel tempo di sostanze, e ancora il disfacimento delle famiglie colpite dalla presenza di una situazione di dipendenza in casa. Se si volesse cercare di stabilire quanto costa alla società nel suo complesso una persona soggetta a una qualsiasi forma di dipendenza, il conto da fare sarebbe estenuante e complesso, perché le ricadute di una dipendenza sono molte, spesso dolorose, e altrettanto spesso imprevedibili, non soltanto sul soggetto interessato dalla patologia, ma sull'intero universo nel quale si muove. L'Italia spende 6,4 miliardi di euro l'anno fronteggiare il fenomeno della diffusione di sostanze stupefacenti: il 43% di quella cifra se ne va per la repressione, il 27% sono costi di servizi sociali. Da qui l'importanza, sempre più percepita, di attivare ogni forma possibile di prevenzione, a cominciare dai ragazzini in età scolare.