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L'analisi

Latina e il degrado, una ferita che non guarisce mai

Dalle piazze storiche ai quartieri periferici, i segni del degrado urbano sono ovunque. Ma il problema è ormai culturale: manca una visione condivisa e la politica guarda solo al breve termine.

C’è un momento in cui il degrado urbano smette di essere solo una questione di muri scrostati, strade dissestate o progetti incompiuti. Quel momento, a Latina, sembra essere già arrivato da tempo. La città appare ormai sospesa in un limbo dove il degrado fisico si è trasformato lentamente ma inesorabilmente nel degrado dei comportamenti. Un declino che non si misura solo con le buche sull’asfalto o i cantieri eterni, ma soprattutto con la perdita di senso civico e di cura del bene pubblico.

Chi cammina per la città, come abbiamo fatto noi, può sperimentare ogni giorno quanto siano diffuse e persistenti le tracce del degrado, dai resti degli atti vandalici e dei danneggiamenti nei parchi e nelle piazze, ai ruderi lasciati da opere non finite o mai realizzate fino ai rifiuti abbandonati in diversi punti della città. In quasi un decennio, dal 2016 a oggi si sono alternati governi di segno opposto – prima l’amministrazione Coletta, poi la parentesi del commissariamento e poi il ritorno al centrodestra con la giunta Celentano – ma il copione sembra immutato: una politica troppo spesso impegnata a rinfacciarsi le colpe del passato, piuttosto che ad affrontare con coraggio i problemi del presente.

I buchi neri di Latina, i progetti fermi da decenni, i quartieri lasciati al loro destino, la gestione dei rifiuti a due facce, l’assenza di un vero piano per il decoro e la vivibilità della città: tutto resta lì, immobile, come una ferita che non guarisce mai. Nel frattempo, anche i simboli della città – quelli che dovrebbero rappresentare la memoria e l’impegno civile – vengono abbandonati all'incuria oppure diventano l’interesse per vandali annoiati a caccia di emozioni: l’ultimo esempio di una lunga serie è il totem informativo che riportava le immagini dei monumenti della città nell'isola pedonale, appena posizionato e già danneggiato.

Sembra un paradosso, ma a vegliare sul centro storico c’è un murale alle ex Autolinee dedicato a Peppino Impastato, il giornalista ucciso per mano della mafia, ormai consunto, scorticato, quasi cancellato, come pure la scritta a terra che ricorda le parole sulla bellezza contro la rassegnazione. Quella bellezza che secondo il giornalista andava educata costantemente per abituare le persone a reagire contro l'indifferenza e che nella seconda città del Lazio, incapace di prendersi cura dei suoi spazi, invece resta ancora lettera morta.

Ma l’abbandono è diffuso anche nelle piazze storiche, da piazza del Quadrato a piazza della Libertà e laddove gli amministratori tardano a sistemare, mantenere, riqualificare, i cittadini contribuiscono all’incuria perdendo il senso di responsabilità verso lo spazio comune. Oggi Latina è una città che vive alla giornata, dove si improvvisa invece di pianificare, si rincorrono emergenze senza mai affrontare le cause.

I progetti in stallo sono diventati parte integrante e simbolica dell’arredo urbano: l’ex mercato annonario, la biblioteca Manuzio, il teatro Cafaro, i musei mal utilizzati, spazi culturali chiusi oppure ostaggio di procedure infinite, il litorale dimenticato nei mesi invernali e mai realmente rigenerato, le scuole dalle strutture fragili, i quartieri periferici privi di servizi e manutenzione, mentre il centro storico resta l'unica vetrina affidata alla fantasia degli urbanisti, l’ultimo della serie è l’architetto Femia, in attesa di un sussulto che si trasformi in qualcosa di concreto.

Il fallimento è culturale prima che amministrativo. È l’incapacità di costruire un’idea condivisa di città. Ogni nuova amministrazione arriva con il proprio piccolo libro dei sogni e degli slogan, smontando quello precedente, senza mai completare ciò che serve davvero: un progetto a lungo termine, che superi l’orizzonte della prossima scadenza elettorale.

E intanto la città si sfalda. Si moltiplicano gli episodi di microcriminalità, si accentua la percezione di insicurezza, soprattutto tra le fasce più fragili, si allarga il divario sociale tra i quartieri. Aumentano i segnali di disagio, spesso ignorati finché non finiscono in cronaca nera. E cresce – silenziosamente – un senso di rassegnazione collettiva, pericolosissimo, perché toglie ai cittadini anche la voglia di partecipare.

Eppure Latina ha forze sane, energie vive, persone capaci e realtà associative che ogni giorno, spesso nel silenzio generale, resistono al degrado con azioni concrete, piccole e coraggiose. Sono comitati di quartiere, associazioni, gruppi giovanili, operatori culturali, volontari. La loro voce andrebbe ascoltata come parte attiva di una nuova visione di città, lasciando meno spazio alle liti di maniera tra ex e nuovi amministratori.

La città avrebbe bisogno di un’amministrazione che abbia il coraggio di prendere decisioni scomode, strutturali, durature, a cominciare dai rifiuti, la prima vera emergenza sotto gli occhi di tutti. Avrebbe bisogno di una politica vera che guarda vent’anni avanti, non venti giorni. E, infine, di cittadini che pretendano di più, che non si accontentino di eventi in piazza o bandiere di facciata, ma che reclamino una città che torni a essere viva, giusta, rispettata in ogni suo spazio. Se questo cambiamento non parte adesso, allora quando?

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