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Visitabile la mostra-sfida

Santo Stefano rinasce, resta l’eco dell’orrore

Tra le celle dove i dissidenti politici venivano torturati. La voce riprodotta del Presidente più amato e di Settembrini

Il letto arrugginito è ciò che di più vivo e feroce resta del carcere di Santo Stefano. Il letto della costrizione dei prigionieri politici della IV Sezione, ora visibile nella mostra organizzata dal Commissario di governo per il restauro del reclusorio sull’isola di detenzione più famosa d’Europa e da Invitalia. Entrare è un duro colpo allo stomaco, alla democrazia e all’umanità che lì dentro sono andate perdute per due secoli. Capisci che questo luogo ha una sacralità laica quando senti la voce riprodotta del Presidente più amato narrare la morte di Rocco Pugliese, «finito» dentro quella cella, sotto gli occhi di Sandro Pertini che con quel racconto ha cristallizzato per sempre cos’era il carcere al tempo del regime fascista. La targa nel cortile della parte restaurata del carcere dice tutto: «Fra queste mura dove nell’ottocento avevano sofferto i padri del Risorgimento il regime fascista incarcerò Sandro Pertini, Presidente della Repubblica». La mostra che per la prima volta racconta questa storia lì dove essa è avvenuta si chiama «Le sfide di santo Stefano» ed è un percorso di memoria collettiva che non ti aspetti, difficile da metabolizzare, pieno di indicazioni utili a non ricadere negli errori. E’ aperta a gruppi di ricercatori, osservatori, studiosi, alla comunità di Ventotene (alcuni residenti non avevano mai messo piede a Santo Stefano) e ai familiari dei detenuti, che nelle foto hanno gli occhi lucidi. Presto potrebbe aprire anche ai turisti «normali» con la collaborazione degli altri enti. La visita comincia molto prima della porta dell’ala restaurata del carcere. E’ un viaggio che parte dall’approdo cosiddetto «della Madonnella» in considerazione del fatto che sta sotto la statua di un Redentore. Percorso impervio, ristrutturato anch’esso, ai margini del terreno privato che è ancora pari a tre quarti di tutta l’isola. Il mare qui non offre tregua nemmeno quando è piatto: tregenda a parte, ogni giorno quindici operai di Invitalia scendono da un piccola barca e si arrampicano fino al mastodontico carcere fatto costruire sulla sommità dai Borbone, in due anni, tra il 1793 e il 1795, nel posto ideale dove spedire fastidiosi nemici. Tale è rimasto anche in seguito, sfruttato al massimo dal fascismo ma attivo anche durante la Repubblica. Negli anni Cinquanta Santo Stefano non era granché diverso dai Quaranta e Trenta, finché nel 1952 arriva un nuovo direttore, Eugenio Perucatti, con i suoi dieci figli e un’educazione cattolica che lo porterà a riformare in toto il regime carcerario in quel luogo dove chi entrava perdeva ogni speranza esattamente come all’inferno. Creò la foresteria, l’infermeria, il lavoro retribuito per i detenuti, un’ala per le visite dei familiari dei carcerati, fece liberare quattro persone incarcerate ingiustamente e costruì un campo di calcio interno. Negli spogliatoi ci sono ancora oggi le scarpe dei detenuti e la foto inserita nella mostra è una delle immagini più crude di tutta la visita.

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