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Lido Nausicaa si arrende all'erosione: chiude dopo 17 anni di lotta

Andrea Calvani costretto a chiudere il lido e a rinunciare alla concessione dopo quattro ricostruzioni: «Mi arrendo, solo promesse sull’erosione e tanti danni»

Credere nelle potenzialità del lungomare per 17 anni, investire su di esso al punto di ricostruire la struttura di uno stabilimento per ben quattro volte a dispetto di tutte le mareggiate e di quella erosione che non lascia scampo. Ma dopo l'ultima mareggiata che ha distrutto tutto, un anno fa, dopo una stagione amara e dopo tante promesse di ripascimento disattese, gettare la spugna. E’ la storia di Andrea Calvani , l'imprenditore che dal 2009 gestisce il lido Nausicaa sul lungomare di Latina, uno degli stabilimenti più funestati dall'erosione in questi anni, compreso nel tratto in cui l'arenile non ha retto all'urto dell'erosione e di politiche sbagliate. Ieri Calvani ha rinunciato alla concessione e ha restituito la licenza commerciale e di quel mare per cui ha lottato e di cui ha vissuto ora non vuole sentire più parlare, tanta è l'amarezza che prova.


«Purtroppo non vi sono più i parametri minimi per poter proseguire con la mia attività. Non esiste più un Lido di Nausicaa, con sommo rammarico – scrive in un post - dopo anni di lotte estenuanti contro ľerosione, mi arrendo. Non mi manca coraggio né voglia, ma per poter fare ci vuole la materia prima, sua maestà la Sabbia». E nel ringraziare il suo staff e la clientela conclude: «Non ringrazio tutti quelli che si sono riempiti la bocca».

Quando lo contattiamo la voglia di parlare è poca, ma le cose da dire sarebbero tante. «Dall'ultima mareggiata che ha distrutto la struttura il 30 marzo 2024 non ne siamo più usciti – dice - questa estate ho cercato di fornire assistenza alla balneazione e servizi essenziali come un minimo di copertura per l'ombra e non ho potuto fare altro». Ho aspettato delle risposte che non sono arrivate, c'era l'ipotesi di spostarmi la concessione, ma poi non mi hanno detto più nulla. A quel punto un anno di inattività si sopporta, ma dopo una società che non ha introiti finisce sull’orlo della liquidazione».

Calvani spiega di aver inviato una Pec al Comune ieri per rinunciare alla concessione e di aver riconsegnato la licenza commerciale al Suap e racconta una storia lunga 17 anni. «Siamo arrivati nel 2007 quando c'erano i topi e sotto la sabbia si trovava di tutto. Siamo stati tranquilli forse un anno e mezzo, ma dal 2009 abbiamo vissuto gli effetti dell'erosione, dal secondo anno ho avuto i danni, poi ho avuto una perdita totale a fine 2009, ho ricostruito tutto e nel 2011 di nuovo il maltempo ha rispazzato tutto e ho ricostruito, così come nel 2014. Fino ad oggi la struttura l'ho rimessa in piedi 4 volte».

Quantificare il danno economico fa male: «Abbiamo superato mezzo milione di perdite spalmate negli anni, per ogni ricostruzione ho speso tra gli 80 e i 90mila euro se pensa che per rifare una pedana di 200 metri quadrati ci vogliono 50mila euro oltre al rifacimento di tutti gli impianti».

Quante promesse di ripascimento ha sentito negli anni? «Ne ho sentite tante, le uniche che si sono concretizzate e che hanno dato risultati sono state quando era assessore Cirilli, lavori fatti bene di ripascimento morbido in più fasi e senza spendere cifre esorbitanti, quel ripascimento è durato fino a quello sotto il sindaco Coletta. Lì gli errori sono stati fatti come scavare una trincea con la draga a 80 metri quadrati da riva, ci hanno provato ma è durato un anno e mezzo e c’è stato subito un regresso. Oggi è sparita totalmente l’area e non so propria che cosa metteranno a bando».

E questa amministrazione? «Hanno i soldi per finanziare gli interventi ma non possono o non vogliono usarli, un paradosso considerando che c’è uno studio della Sapienza che disciplina come intervenire. Si sono messi a litigare di cose futili invece di fare gli interessi del bene comune che non è Calvani, ma la costa che scompare. Stiamo parlando di 78 metri lineari di concessione e saranno andati via in questi anni 100mila metri cubi di sabbia autoctona, se avessero preservato questi metri cubi oggi lo scenario sarebbe stato diverso».

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