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Il caso

Custodivano la droga per i pusher, legittimi gli arresti dei due fratelli

Per la Cassazione inammissibile il ricorso di uno dei due indagati arrestati dai Carabinieri a gennaio alle case "Arlecchino"

Custodivano la droga per i pusher, legittimi gli arresti dei due fratelli
 
Con la decisione assunta lo scorso 16 maggio, ma pubblicata solo a fine luglio, la Corte di Cassazione ha dichiarato legittima l’ordinanza con il quale il Tribunale della Libertà  di Roma aveva confermato la custodia cautelare in carcere per i fratelli Ernesto e Fausto Bevilacqua, di 60 e 50 anni, arrestati a fine gennaio dai Carabinieri del Nucleo Investigativo e del Nucleo Operativo Radiomobile della Compagnia di Latina nell’ambito di una delle più importanti operazioni di contrasto alla piazza di spaccio delle case Arlecchino.
O meglio, i giudici della Suprema Corte hanno dichiarato inammissibile il ricorso presentato da Fausto Bevilacqua contro la decisione del collegio dei giudici, in sede di riesame delle misure cautelari, di confermare la custodia in carcere adottata dal giudice per le indagini preliminari. La difesa dell’indagato puntava sulla modesta quantità di stupefacenti, quattro grammi tra cocaina, crack e marijuana, oltre a 1.500 euro in contanti, ma la fattispecie meno grave della violazione in materia di stupefacenti è stata smentita dalle circostanze dell’arresto, perché l’operazione era nata mentre i carabinieri monitoravano due giovani spacciatori, ritenuti gli organizzatori della piazza di spaccio.
Quindi i due fratelli finiti in carcere erano ritenuti i custodi della droga, nell’ambito di un’organizzazione dedita al traffico di stupefacenti strutturata nel quartiere compreso tra via Guido Rossa e via Galvaligi. O meglio, la Suprema Corte di Cassazione non è deputata alla verifica della fondatezza delle esigenze cautelari, ma i giudici del “Palazzaccio” hanno ritenuta corretta e ben motivata la valutazione compiuta dal Tribunale per la Libertà di Roma. Gli elementi prospettati infatti non configurano la lieve entità, perché la ricostruzione che i due fratelli avessero il compito di custodire e confezionare lo stupefacente per conto di chi gestiva poi la cessione agli acquirenti, fa rientrare «la condotta dell'indagato in un ambito più ampio e rileva una professionalità dell'agire criminale» si legge nella motivazione.
«A fronte di un consolidato quadro di gravità indiziaria - osservano i giudici -  il Tribunale ha desunto dalle specifiche modalità e circostanze del fatto, indicative della professionalità dell'indagato e del suo inserimento in un ambiente dedito al narcotraffico, il concreto e attuale pericolo di reiterazione di reati analoghi a quelli in contestazione».

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