Una serie di agguati prima della bomba ai palazzi Arlecchino
Emergono pestaggi e minacce con le pistole non denunciati: una di queste azioni di forza firmate dai giovani del sodalizio emergente potrebbe avere scatenato l’avvertimento contro di loro
Non lesinavano l’uso delle pistole, come della violenza fisica, i giovani che controllano la piazza di spaccio dei palazzi “Arlecchino”. E potrebbe essere proprio in uno degli agguati consumati per punire cattivi pagatori, o sanare dissidi tra pusher, che si nasconde il movente per l’attentato esplosivo di domenica mattina, quando un ordigno di fattura artigianale ha danneggiato il porticato all’ingresso del condominio al civico 10 di via Guido Rossa. Azioni di forza che stanno emergendo ora, perché sembra che buona parte degli episodi consumati prima delle inquietanti intimidazioni di domenica siano rimasti sottaciuti, grazie all’omertà delle vittime, a loro volta implicate nei traffici di droga oltre che spaventate da possibili ulteriori ritorsioni.
Il ritrovamento di tre bossoli di pistola, fatto dai carabinieri lunedì pomeriggio in un vialetto del complesso delle case popolari “Arlecchino” sul lato di via Galvaligi, ha fornito subito la dimostrazione che attorno agli interessi di quella piazza di spaccio aleggiava un clima di tensione, alimentato appunto da pestaggi e minacce con le armi in pugno. Una strategia che sarebbe da attribuire proprio alle figure di vertice del sodalizio di giovani emergenti, ossia due fratelli ventenni che controllano lo spaccio in quella zona, e l’uomo di 35 anni con precedenti per droga e una lunga detenzione alle spalle che non perde l’occasione di farsi vedere insieme a loro, dopo avere voltato le spalle alla fazione con la quale aveva mosso i primi passi nel mercato degli stupefacenti, riconducibile al sessantenne che ha subito l’attentato domenica sera. Sembra che i tre abbiano accresciuto i loro affari e soprattutto la loro fama criminale con queste aggressioni e sparatorie, circolate rapidamente negli ambienti della mala.
Insomma, gli investigatori stanno scandagliando gli ambienti dello spaccio in cerca di informazioni per ricostruire la sequenza di agguati consumate nei mesi estivi, con l’obiettivo di verificare se tra gli episodi non denunciati possa esserci l’evento scatenante che capace di giustificare l’intimidazione esplosiva di domenica mattina. Perché alla luce dei fatti pregressi emersi ora, sembra proprio che qualcuno abbia voluto dare una lezione ai feroci gestori della piazza di spaccio dei palazzi “Arlecchino” colpendo un condominio simbolo per i loro business, tenendo conto che in quella scala abita almeno uno dei loro gregari e lì erano nascoste le pistole che i Carabinieri hanno trovato, ottenendo la conferma che il sodalizio emergente era sempre pronto a impugnare armi. Peccato che dopo la “lezione” ricevuta, la reazione è stata eclatante, praticamente un affronto. O almeno questa è la sensazione che ha trasmesso l’attentato esplosivo di via Darsena, consumato con un ordigno molto più potente di quello esploso la mattina precedente.