«Se i due imputati avessero interdetto l’utilizzo della piscina esterna in quanto dotata di impianto pericoloso, oppure avessero predisposto un sistema di controlli con le dovute ed indispensabili prescrizioni per il corretto utilizzo in sicurezza della piscina con i bagnini per i tempestivi soccorsi in caso di necessità la morte della piccola Sara Francesca non si sarebbe verificata».
Lo scrive il giudice del Tribunale di Latina Elena Nadile nelle motivazioni della sentenza di condanna per i due imputati, accusati del reato di omicidio colposo per la morte di Sara Francesca Basso, la tredicenne di Morolo, annegata il pomeriggio dell’11 luglio del 2018 nella piscina del Grand Hotel Virgilio a Sperlonga.
L’adolescente era in vacanza con la mamma quando nel giro di pochi minuti si era consumata la tragedia. Lo scorso 9 luglio il Tribunale di Latina aveva condannato alla pena di tre anni Mauro Di Martino, rappresentante legale della società che gestisce la struttura, stessa condanna per Francesco Saverio Ermini, ex proprietario dell’albergo. Era stato assolto Ermanno Corpolongo che aveva costruito nel 2004 l’impianto di aspirazione della piscina. Sara era stata risucchiata dal bocchettone definito dal pm Valerio De Luca «Un’arma letale». «L’evento che ha portato alla morte per annegamento la giovane vittima è ascrivibile ad un abnorme potere di aspirazione dello scarico di fondo della piscina che ha bloccato la minore sul fondo», ha messo in luce il giudice. Sara è rimasta intrappolata in acqua e risucchiata sul fondo ed è morta.
«La pericolosità dell’impianto relativo alla piscina al di là delle singole discrasie valutative su altri aspetti, è stato riconosciuto anche dal consulente della difesa come “pericoloso”». Il magistrato per quantificare la forza di aspirazione del bocchettone ricorda la deposizione di un sommozzatore dei Carabinieri che aveva partecipato alla simulazione in piscina nelle stesse condizioni di quando era avvenuto l’incidente. Il sub si era immerso con muta, maschera e bombole ed era stato sottoposto ad una forte azione di aspirazione che lo ha tenuto bloccato sul fondo della vasca.
«Nel momento in cui l’indumento che indossavo ha coperto tutti i fori sono stato letteralmente aspirato dalla grata - sono le sue dichiarazioni - quindi sono rimasto bloccato sulla grata». Quando è stata tolta una parte della muta per aumentare la superficie di contatto del corpo sottoposto ad una forte azione aspirante, è emerso - sottolinea il giudice - che l’azione di trattenimento del corpo aumentava: la maggiore superficie a contatto con la bocca aspirante permetteva una maggiore attrazione verso il bocchettone.
Il Tribunale evidenzia le dichiarazioni del carabiniere indicative sulla potenza di aspirazione. «In questo caso con l’indumento che indosso, riesco con forza a staccarmi, dopo mi è stato chiesto di provarlo a pelle nuda e sinceramente nemmeno al mio peggior nemico direi prova quello che ha provato una persona...il distacco dalla grata è avvenuto esclusivamente perchè indossavo l’indumento, quindi ho forzato e sono riuscito a staccare il sottomuta».
Dopo la morte di Sara le omissioni sono state risolte sottolinea il giudice. «Veniva istituito un servizio di salvataggio con il bagnino, con avvisi scritti per l’utilizzo in sicurezza in piscina e veniva predisposto un servizio di primo soccorso con la presenza sul posto di personale sanitario».