Il fatto
21.12.2025 - 08:30
Terracina è stata a lungo terra di conquista per i clan di camorra, ma non tutti hanno cercato di imporsi in maniera plateale infiltrandosi in ogni livello della società compresa la politica come hanno fatto i Marano Licciardi. Alcune famiglie legate alla malavita organizzata napoletana hanno colonizzato la città di Terracina con un altro obiettivo, ossia investire e riciclare i proventi delle attività illecite attraverso l’apertura di pubblici esercizi, di fatto dopando l’economia locale. Emerge chiaramente anche attraverso le carte dell’inchiesta della Direzione Distrettuale Antimafia di Roma che ha portato agli arresti dell’operazione Porta Napoletana: oltre ai Marano Licciardi, i carabinieri del Nucleo Investigativo hanno monitorato anche un’altra famiglia originaria di Secondigliano, quella dei Pariota, che gestisce attività commerciali a Terracina e in una occasione si è lasciata andare a comportamenti che, secondo gli inquirenti, rivelano un legame antico con sodalizi importanti della camorra. Cinque componenti di questa fazione sono indagati in stato di libertà per un’estorsione aggravata dal metodo mafioso che risale a sei anni fa, ma il giudice ha respinto per quattro di loro l’applicazione di misure cautelari non avendo ravvisato gravi indizi di colpevolezza.
La vicenda è piuttosto datata, ma è stata esaminata nel 2023 dai carabinieri del Nucleo Investigativo che avevano iniziato a monitorare la famiglia che gestisce un’attività commerciale nella zona di Porta Napoletana, ispirando appunto il nome dato all’operazione della Dda di Roma. I componenti di questa famiglia sono indiziati di avere organizzato una festa all’interno di un locale nel 2019 e di avere minacciato e aggredito il gestore per non pagare il conto. All’epoca dei fatti erano intervenute le forze di polizia, ma l’episodio era stato classificato come una lite, anzi uno degli odierni indagati aveva denunciato a sua volta di essere stato aggredito all’interno del locale. Interrogando nuovamente le vittime dell’estorsione, che solo successivamente hanno compreso la caratura di chi le aveva minacciate, sebbene le frasi pronunciate all’epoca dagli indagati fossero comunque inquietanti. Il lasso di tempo trascorso tra i fatti e la denuncia del 2023, ma soprattutto la diversità delle dichiarazioni rese perché all’epoca dei fatti le vittime avevano parlato di una lite scaturita da comportamenti incivili e maleducati dei clienti e non per il mancato pagamento, hanno portato il giudice a non ravvisare i gravi indizi di colpevolezza tali da motivare le esigenze cautelari, ma la reticenza iniziale delle vittime sembra invece sintomatica della forza intimidatrice espressa dagli autori delle minacce, al di là della notorietà della loro contiguità o meno a un clan.
La sera della festa del 2019 al momento di chiedere il pagamento del conto, il gestore si era sentito rispondere da quei clienti che “loro comandavano sia a Terracina che a Napoli” e lo intimorivano avvertendolo «voi non sapete con chi avete a che fare» poi era scattata l’aggressione e una minaccia eloquente «prova a fare la denuncia e vedi cosa succede». La moglie del gestore, presa a schiaffi da una donna di quella famiglia, ricordava che le minacce erano state piuttosto esplicite come «t’appicciamm o’locale co’ a bionda dentro» ovvero che avrebbero bruciato loro il negozio se avessero chiamato i carabinieri. Poi qualcuno le aveva detto «te lo ammazzo» riferendosi al marito. La nuova denuncia, secondo il giudice, non è bastata per motivare l’applicazione delle misure cautelari.
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