L'evento
17.11.2025 - 11:00
Esorcizzare la paura e l’ansia legate alla morte e alla sofferenza, cercare di ricreare un senso di controllo e di sicurezza, riaffermare il senso della vita, forse questi sono alcuni dei bisogni che alimentano il rito apotropaico moderno che si consuma quotidianamente davanti alla TV nella “vivisezione” dei più noti casi di cronaca italiani. Ma nella celebrazione di questo rituale ancestrale un rischio concreto emerge ormai in maniera evidente ed è quello della manipolazione dell'informazione. A sollevare il problema uno dei più grandi cronisti giudiziari italiani, Gianluigi Nuzzi, che affronta la tematica e la pone al centro del dibattito culturale con uno spettacolo-inchiesta dal titolo “La fabbrica degli innocenti”. Prodotto da Stefano Francioni Produzioni e dalla Ventidieci di Vincenzo Berti e Gianluca Bonanno, la rappresentazione si inserisce in quel filone di teatro-civile che unisce informazione, indagine e denuncia sociale. Un format che Nuzzi ha saputo declinare con grande personalità, trasformando il palco in una sorta di aula di giustizia dove la verità processuale viene difesa dall’assalto della disinformazione. Il noto giornalista sabato sera è salito sul palco del Teatro D’Annunzio di Latina con la piecè che ha scritto con il contributo di Martina Maltagliati e che vede la regia di Enrico Zaccheo. Le musiche di Davide Cavuti e il disegno luci di Marco Palmieri hanno accompagnato il pubblico in un viaggio che non ha concesso respiro. Le clip video, le foto e i contributi audio hanno scandito il ritmo della narrazione, creando un crescendo di tensione tenendo lo spettatore incollato alla poltrona. Un’operazione non facile perchè Nuzzi sul palco è solo, non indossa la sua tradizionale “giacca televisiva”. Senza alcuna divisa, con una scenografia volutamente essenziale rende protagonista assoluto il racconto, affrontando una riflessione profonda sui meccanismi della disinformazione nell’era dei social media, sul complottismo dilagante, sulla costruzione di verità alternative che fanno leva su emozioni, rabbia e indignazione piuttosto che sui fatti. Nuzzi denuncia con forza un fenomeno inquietante: quella “fabbrica” che crea innocenti dove non ce ne sono, che addita nuovi colpevoli, che delegittima investigatori e magistrati, che coinvolge persino i familiari delle vittime in complotti inesistenti. Una giustizia mediatica parallela che si sostituisce a quella dello Stato, alimentando sfiducia nelle istituzioni e minando la credibilità dell’informazione. La narrazione si concentra su tre casi emblematici, l’omicidio di Chiara Poggi, quello di Yara Gambirasio e la strage di Erba. Tre vicende che hanno diviso l’opinione pubblica e alimentato dibattitii. Nel racconto anche il ricordo di grandi giornalisti che hanno segnato la sua vita professionale come Enzo Tortora e Giampaolo Pansa.
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