Cerca

Il fatto

L’imboscata secondo Lauretti, il pentito ha ribadito in aula la dinamica della sparatoria contro il gruppo rivale Ferri-Pannone

I fatti risalgono a ottobre del 2020, rappresentarono l'inizio di una scia di attentati per regolare i conti

L’imboscata secondo  Lauretti, il pentito ha ribadito in aula  la dinamica della sparatoria contro il gruppo rivale Ferri-Pannone

«Avevo con me la mia inseparabile 9x21, sono uscito e con Alberto Di Vito siamo andati a prendere il mitra sopra la macchina ‘messa a sistema’». Johnny Lauretti, il trafficante di Fondi che si è pentito dopo l’ultimo arresto parla da ciò che è, collegato da una località protetta, ad uno stralcio di Jars, quello specificamente incentrato sullo scontro a fuoco avvenuto il 22 ottobre 2020 nelle campagne di San Magno per regolare i conti col gruppo contrapposto nel controllo del traffico sulla città di Fondi. «Da un lato c’eravamo io, Di Vito e altre due persone, tutti armati e pronti a tutto. Siamo andati nella casa di famiglia di Alessio Ferri perché Di Vito mi aveva detto che lo aveva minacciato e gli aveva puntato una pistola in faccia. Eravamo pronti a tutto, sono scappati Ferri e gli altri e per questo si sono salvati». Quella di ieri è stata un’udienza chiave del processo sull’aggressione dell’autunno di cinque anni fa: come confermato da Lauretti, alla sparatoria «punitiva» dove lui e Di Vito andarono con una delle macchine dal doppiofondo per mettere armi e droga, seguirono una serie di attentati nell’inverno «caldissimo» del 2021 a Fondi, proprio perché era in atto una battaglia per il controllo del traffico tra i gruppi Lauretti-Del Vecchio e Ferri-Pannone. «Volevo ammazzarli, perché avevano toccato un mio uomo, Di Vito, in quanto volevano costringerlo a lavorare per loro, pretendevano che passasse a spacciare per loro », ha detto ieri Lauretti. Di fatto dunque si è assunto la corresponsabilità e l’ideazione della sparatoria ma quel che conta nelle sue dichiarazioni riguarda il clima di scontro feroce e disinvolto nella immediata periferia di Fondi, con armi potenti e nel solco di un’organizzazione che aveva tutto per il trasporto di droga, macchine, armi da scorta, tempistica, proprio tutto. «Loro erano un gruppo rivale al nostro, io li conosco bene, da quando eravamo piccoli. Io lavoravo bene, fornivo droga a Di Vito in grossi quantitativi. Per dieci anni ho portato ingenti carichi di hashish, dieci-quindici chili alla volta, sono arrivato a 50 chili in un carico». Dunque fino al 2020 stava andando tutto «abbastanza bene». Ma un giorno Di Vito va da Lauretti e gli riferisce che Alessio Ferri e Marco Simeone lo avevano minacciato. Lì è scattata la rappresaglia con «l’imboscata nei terreni della famiglia di Ferri». Questa storia emerge per la prima volta in atti giudiziari ad aprile del 2024 nell’ambito delle contestazioni della Dda per il procedimento «Jars» (bruciati in dialetto locale), ma la ricostruzione dello scacchiere criminale che ruota attorno al trasporto e vendita di droga a Fondi (e nei dintorni) si completa con un secondo filone, quello che a novembre 2024 porta a «Risik», un nuovo provvedimento restrittivo (tra gli altri) per Johnny Lauretti, che, però, a quel punto decide di collaborare con la giustizia. Una scelta che nel giro di poche settimane arriva a Fondi e il 12 febbraio 2025 viene data alle fiamme la casa di Lauretti. Di fatto è anche quella la conferma dello scontro feroce tra bande criminali che si è messo in moto e del timore che incute uno che anche ieri ha ammesso di essere stato un tassello importante nel traffico di stupefacenti per ben dieci anni. Il processo riprenderà il prossimo 11 novembre per le conclusioni e la sentenza del Tribunale di Latina. Ieri il pentito ha risposto alle domande del pubblico ministero Valerio De Luca e della difesa, composta dagli avvocati Maurizio Forte e Oreste Palmieri. Era presente, collegato dal carcere, anche Alberto Di Vito.

Edizione digitale

Sfoglia il giornale

Acquista l'edizione