La storia
23.05.2024 - 13:30
«Ok, allora facciamo così: se mi dai il numero, ti chiamo e ci mettiamo d’accordo, fissiamo un appuntamento per vederci, parlare e fare una breve intervista», verrebbe da pensare e da dire. Ma non si può fare: «Non ho più il cellulare», dice lui. E quindi si fa come in un’altra epoca. Parliamo subito mantenendo la giusta riservatezza e raccontando la vita di un ragazzo che all’improvviso è finito a vivere sotto ai portici. “Rec e play”. Emanuele da quasi un mese è un clochard: ha 33 anni, è di Latina, viveva in un appartamento. Non ha più il telefono perché lo ha perso in autobus, in uno dei brevi viaggi in centro che fa per ingannare il tempo. Non ha una casa, non ha un lavoro, non ha una macchina. Ha qualcosa che però lo anima e lo tiene vivo. La motivazione: «Adesso quando inizia l’estate sono convinto che troverò un lavoro al mare, come spiaggino oppure per fare altro e così si riparte. Sono convinto. Bisogna rimboccarsi le maniche». E’ un ragazzo propositivo che racconta con dignità questa parte della sua vita tanto inaspettata quanto estrema. E’ successo tutto in pochissimo tempo ma non si è fatto travolgere dagli eventi. Il suo letto è la panchina all’angolo tra piazza del Popolo e via Diaz. Ci sono i cartoni, una coperta color sabbia. Quando chiude gli occhi l’ultima immagine che vede è quella della Torre Comunale o di una piazza deserta. L’orizzonte sono le luci al neon e il tempo lo scandisce la campana del Comune. Anche lui è stato testimone dell’aggressione avvenuta sotto ai portici lunedì sera, quando alcuni stranieri di origine tunisina hanno picchiato Andrea, un altro clochard che da ieri non è più al solito posto e insieme alla compagna ha cambiato zona. «E’ stata una scena bruttissima». Emanuele era insieme agli altri e stavano mangiando una pizza offerta dalla proprietaria di un forno quando è scattata l’aggressione.
«La mia giornata? Mi alzo, vado in un centro di accoglienza e mi faccio la doccia, faccio la colazione e poi esco. Alle 16,30 vado alla Caritas per mangiare: c’è il pane, un primo, il dessert. Si mangia bene. Poi torno qui e dormo. Vado avanti giorno dopo giorno. Adesso va così. Ad un certo punto - spiega - non ho trovato sbocchi lavorativi e mi sono ritrovato così». Emanuele vuole cambiare vita. E’ convinto che sia una questione di tempo. Sogna un letto, un materasso su cui stendersi e dormire. «Quando capiterà dormirò per dodici ore senza pensieri per riprendere la mia vita e ripartire nel migliore dei modi. Sai che bello!».
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