Il caso
17.01.2025 - 09:00
Non c’era nessuno all’interno della villetta di strada Piccarello, nella notte tra domenica e lunedì, che potesse aiutare Patricia Masithela a mettersi in salvo dai cani che l’hanno sbranata fino a ucciderla, di conseguenza non ci sono testimoni che possano aiutare gli investigatori della Polizia a ripercorrere quei momenti drammatici.
Una prima ricostruzione dei fatti emerge però all’esito del sopralluogo compiuto dai detective nell’abitazione che ha fatto da scenario alla drammatica fine della giovane latinense di origine sudafricana. Anche sulle circostanze della presenza della giovane donna in quella casa nel cuore della notte iniziano a farsi strada le prime ipotesi concrete che gli agenti della Questura stanno vagliando, anche attraverso la ricostruzione dei movimenti e dei contatti della vittima attraverso il suo telefono.
L’accurata ispezione della villetta compiuta la mattina dopo la morte di Patricia Masithela ha consentito di stabilire che la ragazza non era entrata solo nel cortile dell’abitazione quando è stata morsa dai cani, ma si era introdotta proprio nell’abitazione, dove a quanto pare si trovavano gli animali, almeno quelli più feroci e aggressivi. Proprio com’era successo una settimana prima alla sua amica ucraina, salvata dal proprietario degli animali che invece lunedì notte non si trovava in casa. Non è ancora chiaro se la ragazza fosse in possesso delle chiavi, di certo era in grado di aprire il cancello del cortile perché era sufficiente azionare una leva per farlo. In ogni caso aveva avuto una relazione in passato con Luca Desideri, quindi sapeva come muoversi nella sua proprietà. Anche i vicini ricordano di averla vista in quella villetta.
Quella notte all’arrivo di polizia e soccorritori la ragazza, ormai ridotta in fin di vita, si trovava nel cortile, ma l’aggressione sarebbe iniziata all’interno dell’edificio perché nella casa sono stati trovati oggetti personali a lei riconducibili, come un giubbotto da donna.
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