Il caso
13.03.2025 - 13:00
Hanno lasciato gli arresti domiciliari e sono tornati tutti in libertà gli indagati dello scandalo delle patenti facili che aveva portato lo scorso gennaio all’esecuzione di sei misure restrittive. Nei giorni scorsi il gip d Latina Barbara Cortegiano ha sostituito la misura cautelare degli arresti domiciliari con gli obblighi di polizia giudiziaria nei confronti di Claudio Caiani, Antonio Villani, Adrian Dinu, Giovanni Chiariello.
«Pur permanenti le esigenze cautelari - devono ritenersi attenuate tenuto conto dell’annullamento da parte del Tribunale del Riesame di alcuni capi - ha scritto il giudice - che anche se in relazione al Riesame presentato da altri coindagati, si ritiene che allo stato le esigenze cautelari possano essere adeguatamente tutelate attraverso la misura dell’obbligo giornaliero di presentazione alla polizia giudiziaria». Gli avvocati Gaetano Marino, Massimo Frisetti, Daniela Fiore, Giuseppe Pesce avevano presentato la richiesta, la Procura di Latina aveva espresso parere negativo, il giudice al termine della camera di consiglio si è pronunciato.
Il 28 febbraio il Tribunale del Riesame aveva disposto la sostituzione della misura cautelare degli arresti domiciliari per Carmine Omaggio e Salvatore Amore, i magistrati romani avevano annullato l’ordinanza cautelare rispettivamente per 4 e 15 capi di imputazione Per i due uomini, entrambi residenti in Campania, i giudici hanno disposto la misura dell’obbligo di dimora e di presentazione alla polizia giudiziaria. Il collegio difensivo dei due indagati aveva impugnato il provvedimento restrittivo emesso dal gip del Tribunale di Latina che aveva accolto le risultanze investigative del pubblico ministero Valerio De Luca, sulla scorta delle indagini condotte dalla Polizia giudiziaria della Procura di Latina e della Polizia giudiziaria della Polizia Stradale. Secondo l’accusa come riportato nelle carte dell’inchiesta,
«gli indagati avevano costituito una associazione per delinquere dedita a consentire a terzi di ottenere la patente di guida attraverso sistemi fraudolenti per falsare gli esiti dell’esame. Soldi in cambio di un aiuto decisivo per passare l’esame. C’erano gli accordi e le tariffe. «Non si può negare l’esistenza di quell’apparato minimo e rudimentale di mezzi che secondo la giurisprudenza di legittimità è sufficiente ad integrare il reato associativo», hanno scritto i giudici del Riesame nelle motivazioni. I magistrati sostengono che l’ipotesi di reato da contestare non era il falso ideologico come ipotizzato dagli inquirenti ma una legge che risale a cento anni fa, del 19 aprile del 1925 che punisce chi copia ad un concorso e riguarda «la repressione della falsa attribuzione di lavori altrui da parte di aspiranti al conferimento di lauree, diplomi, titoli», come nel caso della patente. Secondo i magistrati per il plagio non erano necessarie le intercettazioni che di conseguenza sono ritenute inutilizzabili.
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