Il fatto
10.04.2025 - 10:00
Inizia con passo lento il processo sulla mafia dei chioschi del lungomare di Latina, che vede come principale imputato Alessandro Zof, insieme al fratello Fabio e al padre Maurizio, oltre a Davide Facca, Giovanni Ciaravino, Alessio Attanasio, Jeguirim Ahmed, Corrado Giuliani, Franco Di Stefano, Pasquale Scalise.
Per i tre componenti della famiglia Zof e per Ciaravino e Facca, i difensori hanno rinnovato ieri mattina la richiesta di rito abbreviato già rigettata in sede di udienza preliminare.
Il collegio presieduto dal giudice Gian Luca Soana si è riservato sull’istanza degli avvocati Sandro Marcheselli, Alessia Vita, Virginia Ricci, Francesco Vasaturo, Marco Lucentini. Parere negativo del pubblico ministero rappresentato dal sostituto procuratore della Dda, Francesco Gualtieri che ha, appunto, richiamato il rigetto della fase preliminare.
Il processo promette di offrire uno spaccato di una certa modalità di gestione di alcune delle strutture balneari del lungomare di Latina, per questo dopo l’ordinanza di rinvio a giudizio di dicembre scorso aveva fatto particolare rumore la mancata costituzione di parte civile del Comune di Latina, danneggiato oggettivamente almeno nell’immagine.
Come è noto sulla gaffe dell’amministrazione il sindaco annunciò in consiglio comunale l’apertura di un’istruttoria interna per cercare di capire come mai gli atti del processo non arrivarono alla Giunta per la valutazione sulla costituzione. Fu annunciata altresì un’azione risarcitoria in sede civile nei confronti degli imputati.
Il materiale probante che supporta questo procedimento è stato integrato dalla Procura di Roma con gli atti dell’inchiesta «Assedio», inerente il pressing mafioso sulla città di Aprilia e sul quale è corrente l’istruttoria del Ministro dell’Interno ai fini dell’eventuale scioglimento del consiglio comunale (oggi rappresentato da un commissario straordinario) per condizionamento esterno. In quegli atti viene cristallizzato uno scontro tra la mafia di Aprilia e in primis con Patrizio Forniti (oggi latitante), considerato il capo, e il clan riferibile ai fratelli Travali, cui si contesta che sia sodale Alessandro Zof. L’integrazione investigativa si riferisce a quando un giovane imprenditore, uno dei gestori delle spiagge libere attrezzate, subisce minacce di ritorsioni da Alessandro Zof.
La Procura aveva messo in rilievo l’aggravante di aver agito avvalendosi della forza di intimidazione per la posizione di appartenenza all’associazione riconducibile ai fratelli Travali. La vittima - secondo quanto ripercorso nell’inchiesta - aveva anche chiesto protezione al sodalizio di Patrizio Forniti, come testimoniano una serie di intercettazioni di quel periodo. Le indagini sui chioschi era stata condotta dalla Squadra Mobile e la Dda aveva chiesto l’emissione dei provvedimenti restrittivi.
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