Il fatto
06.11.2025 - 08:30
Il boscaiolo chiamato a testimoniare su una delle peggiori storie di immigrazione clandestina in provincia di Latina non ha tentennamenti quando nega al Tribunale di aver mai assunto alcun lavoratore straniero.
«Lavoro per conto mio, ho un camion con cui consegno gli scarti delle aziende agricole agli allevatori». Il pubblico ministero, rappresentato dal sostituto procuratore Marco Giancristifaro, gli chiede se si ricorda di aver presentato, nel 2010, 26 domande per l’assunzione di altrettanti lavoratori in base al decreto flussi in vigore allora. L’uomo risponde: «No, mai». Allora il pm gli chiede se ha mai conosciuto i due principali imputati di questa storia, due consulenti di Priverno. Risposta: «Mai visti». Così il teste Francesco S., un omone di 90 chili con la camicia a grandi scacchi blu e le mani piene di calli, svela, semplicemente, qual era il sistema delle richieste di lavoratori con decreto flussi in provincia in quegli anni (e in parte ancora oggi, come rivelano inchieste correnti analoghe).
Funzionava così: al database del Ministero dell’Interno pervenivano domande di imprenditori agricoli che spesso nemmeno sapevano dell’esistenza della domanda né avevano mai chiesto di assumere lavoratori stranieri. Quegli immigrati intanto furono ammessi all’ingresso in Italia per motivi di lavoro, quando sono arrivati l’occupazione non c’era e sono diventati clandestini, manodopera a bassissimo costo in barba al decreto flussi. L’udienza di ieri riguarda Un enorme giro di ingressi basati su finte richieste di lavoro, fatte nell’ordine di decine per ciascun imprenditore. In un solo blocco sono state inviate al Ministero 12 domande per un totale di 179 lavoratori stranieri che, come risulta dalla dichiarazione, avrebbero dovuto trovare impiego presso 12 imprese agricole della zona compresa fra Terracina, Priverno, Maenza e Roccasecca dei Volsci, Aprilia. Gli imputati sono, anche per questo, moltissimi, 31 in totale e la maggior parte ha testimoniato di non aver presentato domande ma che si serviva di consulenti per le pratiche burocratiche e fiscali. C’è chi dice di non ricordare esattamente se ha presentato o meno la domanda, posto che sono passati ben 14 anni dai fatti; sotto esame è il decreto flussi del 2009 e del 2010. Tra gli imprenditori coinvolti e chiamati a testimoniare c’è anche chi si defila; all’udienza di ieri due non si sono presentati senza giustificazione ed è scattata la multa del Tribunale, posto che anche queste assenze hanno portato ad un nuovo rinvio, al 6 maggio 2026, col rischio che su tutta la storia si abbatta la prescrizione. E’ un processo che va avanti in sordina, senza alcuna parte civile, nemmeno il Ministero dell’Interno che, palesemente, è stato beffato non solo per le domande per occupazioni finte ma anche perché questo meccanismo ha creato centinaia di clandestini nella sola provincia di Latina.
Il perno attorno al quale ruota la contestazione è un consulente, Roberto Pietrocini, insieme a Franco Giovannelli. Oltre a loro una sfilza di 29 persone tra imprenditori agricoli e mediatori delle comunità straniere, soprattutto indiani. Secondo il capo di imputazione sarebbe stato Pietrocini ad inoltrare al Ministero «false istanze di emersione per colf e badanti con indicazione di datori di lavoro fittizi e ignari... con il conseguente rilascio del certificato di ‘ corretta presentazione della domanda’ rilasciata telematicamente dal Ministero dell’Interno». Risulta altresì la contraffazione della delega e procura a rappresentare il datore di lavoro presso lo Sportello Unico dell’Immigrazione. Per far valere la procura ad agire la stessa era corredata da certificati medici degli imprenditori e ciò, a cascata, consentì anche di sottoscrivere i falsi contratti di lavoro degli imprenditori del tutto ignari di cosa stesse succedendo.
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