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Il fatto

Nessuna minaccia esplicita per il caso Giovannino, ha pesato il legame mafioso

Per le intimidazioni ai due dipendenti del ristorante, la Dda di Roma contesta l’estorsione “ambientale": un'insistente opera di persuasione

Nessuna minaccia esplicita per il caso Giovannino, ha pesato il legame mafioso
L’imprenditore Antonio Fusco detto Marcello e Mirella Salvadori, la donna che gestiva per conto suo il ristorante Giovannino di Foce Verde dal 2019 allo scorso anno, sono indiziati del tentativo di estorsione nei confronti di due dipendenti del locale, ovvero quello che i magistrati della Direzione Distrettuale Antimafia di Roma ritengono sia un tentativo di ostacolare l’amministrazione giudiziaria adottata in seguito al sequestro delle società, ma non avrebbero esercitato violenza o minaccia esplicita, ricorrendo invece a un’insistente opera di persuasione realizzata attraverso ripetuti inviti ad assentarsi dal lavoro per un paio di settimane, fingendo di essere malati. Ed è proprio attorno a questa metodologia che ruotano le accuse rivolte dalla Dda di Roma, condivise dal giudice per le indagini preliminari che ha disposto la custodia cautelare in carcere per l’uomo di 62 anni e gli arresti domiciliari per la 39enne, ritenendo che abbiano agito con l’aggravante del metodo mafioso.
Sulla base degli accertamenti svolti dai carabinieri del Nucleo Investigativo del Reparto Operativo provinciale di Latina, i militari diretti dal tenente colonnello Antonio De Lise, si è trattato di un caso di tentata estorsione “ambientale” ormai riconosciuta dalla giurisprudenza con una serie di sentenze. Secondo il giudice, la condotta fortemente sollecitatoria tenuta nei confronti dei due dipendenti che occupano le posizioni di maggiore rilievo all’interno dell’esercizio commerciale, per indurli a tenere comportamenti contrari alla loro volontà, viene considerata proprio una condotta che rientra nella fattispecie del tentativo di estorsione.
Infatti nella cosiddetta estorsione ambientale rientrano quei suggerimenti o quelle proposte, apparentemente prive di connotati esplicitamente violenti o minatori, provenienti però da  persone in qualche modo collegate con associazioni di tipo mafioso o manifestati mediante utilizzo del cosiddetto metodo mafioso. Come in questo caso, secondo i magistrati della Dda di Roma, visto che proprio le vittime si dicono spaventate dalla possibilità di non assecondare esplicitamente le richieste dei due, essendo a conoscenza dei legami di Antonio Fusco con gli esponenti di spicco dell’organizzazione mafiosa di Aprilia.
Citando una sentenza della Corte di Cassazione, il giudice ha riconosciuto come con l’espressione estorsione “ambientale” si intende «...quella particolare forma di estorsione che viene perpetrata da soggetti notoriamente inseriti in pericolosi gruppi criminali, che spadroneggiano in un determinato territorio e che è immediatamente percepita dagli abitanti di quella zona come concreta e di certa attuazione, stante la forza criminale dell’associazione di appartenenza del soggetto agente, quand’anche attuata con linguaggio e gesti criptici, a condizione che questi siano idonei ad incutere timore e a condizionare la volontà della vittima». Tant’è vero che gli investigatori sottolineano come, a generare paura in una delle vittime, fosse bastato il disappunto di Antonio Fusco, cioè una semplice sua smorfia al tentennamento di uno dei dipendenti quando gli era stata avanzata la proposta di assentarsi dal lavoro con la promessa di ricevere un’integrazione dai due ex gestori occulti del ristorante, per compensare così il rimborso concesso dall’ente di previdenza in caso di malattia.
È sempre la giurisprudenza a sostenere il quadro indiziario della pubblica accusa, ritenendo che «la minaccia costitutiva del delitto di estorsione, oltre a essere palese ed esplicita, può essere manifestata anche in maniera implicita e indiretta, essendo solo necessario che sia idonea ad incutere timore e a condizionare la volontà del soggetto passivo». Tant’è vero che la presenza di Antonio Fusco detto Marcello viene ritenuta essenziale per sottolineare la portata dell’azione intimidatoria espressa da Mirella Salvadori. Del resto, secondo il giudice per le indagini preliminari, lo stesso zi Marcello deve essere consapevole del peso che è capace di imprimere nelle minacce implicite, visto che arriva al punto di violare le limitazioni che gli erano state imposte in quel periodo in cui era sottoposto alla misura cautelare degli arresti domiciliari, sfruttando i permessi concessi per recarsi in un centro fisioterapico.
Ma soprattutto secondo il giudice i fatti narrati integrano il tentativo di estorsione e non semplici atti preparatori, essendo sufficienti a indicare alle persone offese le condotte che avrebbero dovuto tenere e a rivelare in modo esplicito il fine perseguito dagli indagati, visto e considerato che partecipano insieme agli incontri con i dipendenti. Inoltre la Cassazione ha riconosciuto che «integra la circostanza aggravante del metodo mafioso l’utilizzo di un messaggio intimidatorio anche silente, cioè privo di una esplicita richiesta, qualora l’associazione abbia raggiunto una forza intimidatrice tale da rendere superfluo l’avvertimento mafioso, sia pure implicito, ovvero il ricorso a specifici comportamenti di violenza o minaccia». Dopo tutto secondo la precedente inchiesta che aveva portato al sequestro delle società impiegate nella gestione del ristorante, ora sottoposta ad amministrazione giudiziaria, aveva rivelato come Fusco al momento di rilevare la conduzione del locale in maniera occulta, avesse ricevuto il sostegno di Marco Antolini, uno dei personaggi di Aprilia ritenuto tra coloro i quali avevano costituito e organizzato l’associazione di stampo mafioso capeggiata da Patrizio Forniti, catturato di recente in Marocco dopo un periodo di latitanza.

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