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Il fatto

L'indagine della Polizia rivela: non furono divulgate le foto di Patricia sbranata dai cani

Nessuna prova nei telefoni dei soccorritori. Nessuno dei testimoni citati dalla famiglia della vittima ha visto le immagini o ha saputo fornire dettagli utili

L'indagine della Polizia rivela: non furono divulgate le foto di Patricia sbranata dai cani

Si è rivelato del tutto infondato il sospetto che qualcuno avesse fatto circolare le foto, rendendole pubbliche, del corpo di Patricia Masithela straziato dai morsi dei cani che l’hanno uccisa la notte del 13 gennaio nell’abitazione dell’ex fidanzato in via Piccarello. Al termine di un’accurata indagine avviata dalla Polizia per verificare quanto era stato denunciato da una persona vicina alla famiglia della vittima, ha rivelato che si trattava di una convinzione errata, alimentata probabilmente dal fatto che tra gli addetti ai lavori si era parlato molto delle condizioni impietose in cui la ragazza di 28 anni era arrivata in ospedale. Era circolata la voce, ma nessuna immagine era stata divulgata in maniera illecita, tantomeno in maniera massiva: l’ultima parola spetta al pubblico ministero titolare dell’inchiesta, tra l’altro rimasta ancora oggi a carico di ignoti, ma all’esito del lavoro svolto gli investigatori ritengono che non sussistano ipotesi di reato.


La denuncia aveva insinuato il sospetto che qualcuno, tra le persone che avevano partecipato ai soccorsi quella notte o che comunque lavora nel contesto del pronto intervento sanitario o in ospedale, avesse scattato delle foto al corpo di Patricia Masithela in fin di vita oppure subito dopo il suo decesso, e poi le avesse fatte circolare nei giorni successivi rendendole pubbliche. In effetti in quel periodo si era diffusa la convinzione, in città, che più di qualcuno avesse visto quelle immagini, ovvero che le avesse ricevute sul proprio smartphone attraverso le applicazione di messaggistica. Di sicuro quelle foto non erano diventate virali, ma l’indagine scaturita da quella denuncia ha rivelato che la convinzione era infondata.


In ogni caso, sulla base di quella convinzione, un uomo che aveva frequentato in passato la famiglia della vittima avendo avuto una relazione con una sua congiunta, aveva lanciato un appello attraverso i social network per denunciare l’indignazione della famiglia in quel momento di grande dolore, ma soprattutto per chiedere un aiuto a chiunque fosse stato in grado di fornire particolari sulla presunta diffusione di quelle foto. Successivamente aveva ricevuto, in forma anonima, cinque immagini stampate, lasciate da uno sconosciuto nella cassetta della posta della sua abitazione: alcune ritraevano il corpo di Patricia nell’ambulanza, altre sul lettino del pronto soccorso. Sulla base di quella missiva era scattata la denuncia, supportata da una serie di nomi di persone pronte a testimoniare.


Quando gli investigatori della Squadra Mobile hanno iniziato a indagare, tuttavia, non hanno trovato alcun riscontro alle insinuazioni contenute nella denuncia. In questi mesi i poliziotti hanno convocato in questura i soccorritori intervenuti quella notte e hanno acquisito la copia forense dei loro smartphone, ma all’interno dei dispositivi non sono state trovate tracce, tantomeno prove, della pubblicazione illecita di quelle immagini che potesse innescare la divulgazione a terzi. Ma soprattutto nessuno dei testimoni citati da chi ha presentato la denuncia è stato in grado di fornire dettagli utili all’inchiesta. Una decina di persone sono state ascoltate dai detective, ma tutte hanno ripetuto pressoché la medesima versione: non solo nessuno di loro era in possesso delle foto, ma non era neppure in grado di fornire i nomi di chi le possedeva, tantomeno poteva indicare chi le aveva fatte circolare. Anzi, hanno dichiarato di avere detto all’autore della denuncia di avere sentito dire, a loro volta, che erano circolate quelle foto, ma di non sapere altro.


Insomma, l’attività investigativa non ha permesso di evidenziare condotte illecite, tantomeno atteggiamenti colposi, ma un verdetto lo ha fornito in maniera chiara: gli operatori del soccorso che quella notte sono intervenuti in via Piccarello hanno lavorato in maniera professionale e rispettosa della dignità della vittima, perché non hanno reso pubbliche quelle foto.

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