Confermato l'election day dei prossimi 20 e 21 settembre. L'approvazione definitiva viene dalla Corte costituzionale, che ha dichiarato inammissibili i quattro conflitti sollevati sul taglio dei parlamentari, sul relativo referendum e sull'abbinamento della consultazione referendaria con le elezioni in sette regioni.

I contenziosi erano stati proposti dal "Comitato promotore per il No", dalla Regione Basilicata, dal senatore Gregorio De Falco e da Più Europa. La Corte ha dichiarato inammissibile il conflitto sollevato dal Comitato promotore del referendum in quanto «non ha legittimazione soggettiva a sollevarlo». Quindi, la Consulta ha dichiarato inammissibile il ricorso proposto dalla Regione Basilicata escludendo la legittimazione soggettiva delle Regioni, perchè non sono potere dello Stato, secondo l'articolo 134 della Costituzione. Invece, sul ricorso presentato dal senatore De Falco nei confronti di Senato, Governo e Presidente della Repubblica, la Corte ha ritenuto che il parlamentare «esponeva in modo confuso e incoerente critiche alla legge elettorale, alla riforma costituzionale, all'accorpamento delle consultazioni, all'uso dei decreti legge».

A questo punto, non ci sono più dubbi e il 20 e 21 settembre si voterà per il taglio dei parlamentari. Riforma voluta dal Movimento 5 Stelle e che nelle varie votazioni in Parlamento ha ottenuto il sì di tutti i partiti. Dunque, sulla carta, il risultato è scontato al referendum. Sulla carta, perché poi sui territori i dubbi sono tantissimi. Il più pesante è quello della rappresentanza, soprattutto delle province. Il taglio dei parlamentari creerà degli inevitabili squilibri, a prescindere dalla legge elettorale che sarà (forse) varata. Vediamo qualche esempio. Nel Lazio oggi si eleggono 28 senatori. Scenderebbero a 18. Mentre nel collegio Lazio 2 della Camera si passerebbe da 20 a 12. E nel Lazio 1 da 38 a 24. Il 4 marzo 2018 si è votato con il Rosatellum, sistema che tiene insieme una parte maggioritaria e una proporzionale. I collegi uninominali maggioritari sono 348. In teoria scenderebbero a 221. Ben 127 in meno. Numeri che avrebbero un riflesso a cascata, a tutto campo: diminuendo i collegi, l'estensione geografica degli stessi (sia uninominali che plurinominali) aumenterebbe. Per ogni deputato il numero degli abitanti passerebbe da 96.006 a 151.210. Mentre, per ogni senatore, da 188.424 a 302.420. Cifre elaborate sulla base dei dati della popolazione assunti da Eurostat.

Il nuovo sistema elettorale, però, sembra andare nella direzione del proporzionale. Nei mesi scorsi si è molto parlato del Germanicum, un sistema che conferma i 63 collegi plurinominali proporzionali e le 23 circoscrizioni del Rosatellum. Se questo tipo di impianto dovesse essere confermato, l'effetto sul territorio sarebbe inevitabile: Frosinone e Latina farebbero parte dello stesso collegio proporzionale. E con 230 deputati e 115 senatori in meno, con un collegio da dividere fra le due province del Basso Lazio, la rappresentanza territoriale sarebbe destinata ad essere penalizzata. Sono i calcoli che in queste ore fanno un po' tutti, da Claudio Durigon e Francesco Zicchieri della Lega, passando per Claudio Fazzone di Forza Italia fino ad arrivare a Nicola Calandrini di Fratelli d'Italia. C'è spazio per altri parlamentari in futuro? Per una nuova classe dirigente? Impossibile. Situazione ancora peggiore nel Pd: già oggi i dem non hanno parlamentari, col taglio sarà una mission impossible averne anche uno, dovendo fare i conti con i cugini ciociari. Per questo anche i dem si chiedono: Vale la pena votare sì al referendum?