L'intervista
22.07.2024 - 16:00
Alessandro Sterpa, professore di diritto costituzionale e pubblico
“Premierato all’italiana. Le ragioni e i limiti di una riforma costituzionale”. Questo il titolo dell’interessante libro scritto da Alessandro Sterpa, professore di diritto costituzionale e pubblico dell’Università degli studi della Tuscia. Martedì 23 luglio (alle ore 11) presenterà il libro a Roma, al Centro Studi Americani. Interverrà Maria Elisabetta Alberti Casellati, ministro per le Riforme istituzionali e la semplificazione normativa.
Allora Professore, quali sono i pregi e i difetti (le ragioni e i limiti) di questa riforma?
«Il primo pregio è il fatto stesso che esista un progetto di riforma organico dopo i fallimenti del 2006 e del 2016 quando i referendum bloccarono i tentativi di Berlusconi e di Renzi. Inseguiamo da decenni il miglioramento della forma di governo che oggi non funziona come servirebbe al Paese. L’Italia ha difficoltà a definire un indirizzo politico certo e duraturo, non ha uno dei presupposti più rilevanti per governare la complessità. Non è un tema solo di durata dei governi ma di visione strategica: le forze politiche sono calate in una campagna elettorale permanente e non hanno la capacità di affrontare le questioni più rilevanti. Tutto è rimesso in discussione ogni settimana mentre la profondità delle sfide pretenderebbe scelte di fondo coraggiose e durature. Pensiamo alla Merkel, Cancelliere per 16 anni, piuttosto che a Macron, Presidente per 10 anni. La politica è immersa nella tattica proprio mentre sviluppo, giovani, innovazione, tecnologia e ambiente pretendono che si ragioni in termini di strategia. La proposta ha il pregio di prevedere un Presidente del Consiglio eletto direttamente dai cittadini per un mandato di 5 anni. Dopo quel periodo si torna al voto per decidere se confermarlo o meno. Finalmente, chi governa non avrà più l’instabilità come scusa per giustificarsi. Quanto ai limiti, li chiamerei completamenti della riforma oggi mancanti, ossia nuovi regolamenti parlamentari e una legge elettorale che mettano il Parlamento nella condizione di svolgere una adeguata funzione di controllo e indirizzo».
Ma perché in Italia non si riescono a fare le riforme?
«I partiti usano le riforme come mero strumento di consenso elettorale per colpire chi governa coalizzando i contrari intorno ad un semplice “no”. È facile unire “contro” il cambiamento forze politiche tra loro diverse che mai governerebbero insieme. Arriviamo al punto che una forza politica si oppone ad una riforma anche se qualche anno prima ha fatto una proposta simile. Il programma del centrosinistra del 1995 conteneva una proposta di governo del Premier del tutto simile a quella del Governo Meloni. In questo approccio chi perde è il Paese con una classe politica tutta a parole per le riforme ma poi inconcludente. E perde la Costituzione che è usata come strumento di parte: la retorica di non toccare la “Costituzione più bella del mondo” non permette di migliorarla e di farle svolgere davvero la propria funzione».
Perché ha deciso di scrivere un libro sulla riforma del premierato?
«Proprio per amore verso la Costituzione repubblicana e antifascista del 1948 e per difenderne l’impianto di principi e valori. Senza una politica autorevole, la Costituzione è un documento senza forza. Serve che il circuito Parlamento-Governo funzioni e decida e non un Governo costretto ad adottare ormai un decreto-legge a settimana e un Parlamento che riceve la legge di bilancio poche ore prima del termine per approvarla. E potrei continuare sul drammatico status quo…».
Le obiezioni si concentrano sul fatto che questo tipo di sistema (tranne una eccezione in Israele) non è contemplato nelle democrazie occidentali. Mentre cosa diversa sarebbe stata l’elezione diretta del presidente della Repubblica. Lei cosa ne pensa?
«Il Premierato all’italiana sarà un unicum. Non capisco perché l’Italia, il Paese dove è nato il diritto come sistema complesso, non possa costruire una nuova forma di governo, mentre abbia potuto farlo la Francia con il semi-presidenzialismo. Per riprendere le parole di De Vergottini, si copiano le soluzioni normative quando non ci sono peculiarità tipiche, altrimenti sono doverose la creatività e la fantasia».
Da un lato il potenziamento del concetto di stabilità dei Governi, dall’altro quello del possibile indebolimento sia del Parlamento che delle prerogative del Presidente della Repubblica. Come stanno le cose?
«Il fatto che il Premier potrà contare sulla maggioranza in Parlamento non comporta che esso non perda potere, anzi. Potrà sfiduciare il Governo con la conseguenza di tornare al voto, ma in certi casi si potrà formare un nuovo governo. Serve aggiornare i regolamenti parlamentari, una adeguata legge elettorale e introdurre l’incompatibilità tra la carica di parlamentare e di esponente del Governo per un Parlamento controllore dell’esecutivo. Il Capo dello Stato resta saldo nelle sue competenze e addirittura senza controfirma su alcuni suoi atti come il rinvio di leggi e decreti. Siamo chiari: in questi anni di instabilità politica abbiamo chiesto al Presidente di fare anche una parte del lavoro del Governo come dimostrano le rielezioni di Napolitano e di Mattarella. Ma è una eccezione, non è la normalità. Le pretese di stabilità devono essere dirette all’esecutivo lasciando il Capo dello Stato nel suo prezioso ruolo di garanzia».
Giusto o sbagliato non prevedere più il ruolo dei senatori a vita?
«Il superamento dei senatori a vita di nomina presidenziale è coerente con un Senato del quale è stato ridotto il numero dei componenti e con la presenza di una maggioranza scelta direttamente dagli elettori».
Ma il presidente del consiglio in Italia ha già poteri sufficienti oppure no? Cosa cambierebbe con il premierato?
«Il Presidente del Consiglio oggi è un primus inter pares, un coordinatore del Consiglio dei ministri. Dopo la riforma sarà politicamente più forte e finalmente potrà proporre non solo la nomina ma anche la revoca dei ministri al Presidente della Repubblica, ma dovrà essere una legge ad individuarne atti e competenze».
Vogliamo azzardare i possibili tempi per l’entrata in vigore, considerando lo scenario del referendum costituzionale? Quando si potrebbe votare con il nuovo sistema?
«Il probabile referendum (se sarà chiesto…) avverrà tra il 2025 e il 2026, dipenderà dalla conclusione dell’esame parlamentare».
Quanto è complicato illustrare e spiegare le ragioni costituzionali di un sistema in un Paese di Guelfi e Ghibellini?
«Molto complicato. Qui sta la vera ragione del libro. La vicenda del 2016 è emblematica. Renzi perse il referendum per il voto contrario dei partiti di centrodestra e perché una parte del suo partito organizzò la campagna per il No per indebolirlo. Mi auguro un referendum sulla riforma senza questo approccio, restando nel merito. L’accademia, le istituzioni e la politica devono discuterne perché la riforma è una occasione da non sprecare; è una opportunità per rafforzare la Costituzione e l’Italia».
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