C’è stato un inganno. C’è stato un massacro. C’è stato un processo. Ci sono state battaglie che hanno cambiato la traiettoria di una parte della storia. «Se lo stupro adesso è un reato contro la persona e non più contro la morale lo dobbiamo a mia sorella Donatella». Via di Vasca Moresca è una strada piccola, schiacciata dalla macchia del Promontorio del Circeo. Ci sono contrasti, il mare azzurro da una parte, il verde degli alberi. La vita e la morte, sospese in una notte di inferno. La villa degli orrori dove furono attirate con l’inganno Donatella Colasanti e Rosaria Lopez è ancora lì. Sono passati 50 anni da quel pomeriggio quando con la scusa di andare a Lavinio ad una festa furono portate al Circeo.
Roberto Colasanti è appena tornato dal Campidoglio. C’era un evento dove si è parlato anche del massacro del Circeo. Ha portato una testimonianza preziosa per tenere viva la memoria. E’ trascorso mezzo secolo. Roberto Colasanti adesso ha 68 anni. Nell’estate del 1975 aveva finito la maturità al Liceo Classico Virgilio e si era iscritto prima a Medicina e poi aveva cambiato. «Sono un fisioterapista in pensione adesso» dice. In questi giorni i pensieri sono molti. Lui è il fratello di Donatella, lei si salvò fingendosi morta, Rosaria, l'amica, morì per le torture subite. «Come definirei mia sorella? Una combattente per la giustizia, grazie alla sua battaglia sono cambiate molte cose» è il primo pensiero. «Di quella notte Donatella mi ha raccontato di aver subito violenza fisica e di essere stata separata da Rosaria. Mi dissè che Andrea Ghira arrivò dopo e all’inizio sembrava il meno violento. Sentiva dire “Questa non muore mai”, Donatella lo disse anche nell’intervista a Enzo Biagi. Mia sorella era capace a recitare, faceva teatro di avanguardia, si finse morta. Prima prese il telefono perchè pensava di stare a Lavinio, e chiamò i Carabinieri. Non riuscì a finire di parlare e a spiegare, fu interrotta e fu colpita». Il Circeo è diventata un’ombra. «Non è più tornata lì - racconta Roberto - se non in occasione del processo quando si svolse un sopralluogo. Donatella ha abitato a Sezze per un certo periodo della sua vita, acquistò una casa nel 1994, aveva scelto un appartamento perchè quel luogo le dava serenità, era davanti ad un monastero, ci andava il fine settimana a volte e durante l’estate».
Esattamente 50 anni fa il massacro: un anno dopo, nell’estate del 1976, il processo in Corte d’Assise a Latina. L’aula era piena, così come piazza Buozzi. «Cosa mi ricordo del processo? C’era la presenza delle femministe che non volevano fare entrare gli uomini, invece mia sorella insisteva, voleva che gli uomini partecipassero, si rendessero conto di tutto. Lei era così. E ricordo che quando fu letta la sentenza con la condanna all’ergastolo ci fu un applauso e anche un senso di soddisfazione per le femministe presenti in aula. Sembra che non sia cambiato nulla - aggiunge Roberto - ma non è così, sono cambiate le leggi, grazie alla battaglia di mia sorella e dell’avvocato Lagostena Bassi. Questo è un reato contro la persona e non più contro la morale e poi voglio ricordare ad esempio che 50 anni fa non esistevano operatrici in ambito di violenza sessuale».
Roberto tiene viva la memoria. «Mi auguro che in futuro si possa continuare a tenere viva la memoria di questo fatto, di Rosaria e Donatella. Per come stava negli ultimi tempi mia sorella voleva che si dimenticasse tutto, che non se ne parlasse più e non fosse strumentalizzato. Preferiva in quel momento l’oblio, sentiva troppa pressione addosso». Da quella notte tra il Circeo e Roma sono passati 50 anni