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L'intervista

Mirko Zilahy si confessa: "Vivo il sogno che era di mia madre"

Faccia a faccia con lo scrittore che ha vissuto molti anni a Latina. "Questa città è nel mio cuore, c'è anche nei miei romanzi"

Mirko Zilahy si confessa: "Vivo il sogno che era di mia madre"

Lo scrittore MIrko Zilahy

È tornato a Latina con il suo ultimo romanzo La Stanza delle Ombre, edito da Mondadori, lo scrittore e saggista Mirko Zilahy, tra i nomi più apprezzati del thriller italiano contemporaneo. Zilahy si racconta con sincerità: dalla sua giovinezza a Latina al momento in cui ha scelto di scrivere, dai maestri amati ai personaggi tormentati che abitano le sue storie.

Torna a Latina per presentare il suo nuovo romanzo,  La Stanza delle Ombre uscito da poco per Mondadori. Di cosa si tratta?
«La Stanza delle Ombre è un thriller investigativo ambientato nella Roma dell’arte e dei falsari. Il protagonista è Nemo Sperati, un giovane docente dell’Accademia delle Belle Arti che ha un talento speciale per smascherare il falso (documenti, opere d’arte, esseri umani) e aiuta la Polizia in casi particolari. Chiamato dal vecchio commissario Zuliani sulla scena del crimine sul Lungotevere Pietra Papa, Nemo apre il suo album e inizia a disegnare con la tecnica del chiaroscuro quello che vede finché gli occhi non si chiudono e lui sprofonda nella Stanza delle Ombre. Questo è un luogo interiore – un teatro mentale – in cui Nemo vede il corpo della vittima e il resto della scena ma percepisce le anomalie, le dissonanze e le tracce invisibili che l’omicida ha lasciato. Riconosce, insomma, la firma dell’assassino. Perché per Nemo Sperati la scena di un crimine è un’opera d’arte. E l’artista che l’ha dipinta è l’assassino».


Che rapporto ha oggi con Latina e cosa resta della città nei suoi romanzi o nella sua formazione personale e letteraria?
« Innanzitutto qui vive ancora mio padre e ho gli amici di sempre. Devo dire che a Latina ho trascorso gli anni più belli e formativi, quelli dalla quinta elementare alla fine del liceo classico. Quando sono andato a Roma per l’Università, la famiglia è rimasta qui e una gran parte del mio romanzo precedente, “Nostra Signora delle Nuvole” (pubblicato da HarperCollins, ndr), è dedicata a quel tempo magico e lontano a Latina. In effetti anche nel mio primo thriller, “È così che si uccide”, la città era presente per gran parte del romanzo e nelle pagine certamente più importanti, quelle finali».

Entriamo nel laboratorio della scrittura. Ricorda il momento esatto in cui ha capito che scrivere sarebbe stato il suo mestiere?
«Con estrema sincerità, non ho mai pensato di diventare uno scrittore da ragazzo, non era il mio sogno. Negli anni successivi all’università ho però attraversato qualche mestiere “utile”, dall’insegnamento accademico al giornalismo, dall’editoria alla traduzione confrontandomi sempre con la scrittura e le storie degli altri. Di maestri e di autori contemporanei o “mainstream”, finché quella moltitudine di storie e di voci mi ha fatto pensare che sarebbe stata una bella sfida provare a scrivere un romanzo. Devo dire che sono soddisfatto di quella scelta perché nonostante la scrittura non fosse il mio sogno, era quello di mia madre Annarita e io, oggi, in un certo senso, abito il suo sogno».


C’è stato un libro o un autore che ha fatto scattare la scintilla della scrittura?
« Non ho mai desiderato scrivere delle storie alla… o con uno stile alla… ma mi rendo conto di avere nel cuore e nelle orecchie le voci di alcuni autori più di altre. Da Wilde a Manganelli, da Calvino a Poe, ma sono davvero tanti. Tra i contemporanei in Italia nel genere sono un grande fan di Ilaria Tuti, Carlo Lucarelli e Giampaolo Simi». 

Scrive gialli e thriller ma cosa la attrae del lato oscuro dell’animo umano?
«Quello che attraeva Omero e i tragici Greci, Ovidio e Shakespeare e mille altri autori occidentali e non fino ai giorni nostri. Il fatto che le ragioni del male sono sempre più interessanti e misteriose di quelle del bene. E il male, in fondo, è il motore di tutte le grandi storie».

I suoi romanzi sono spesso ambientati a Roma: quanto conta l’ambientazione nei suoi thriller?
«Io parto sempre da un luogo che mi ruba lo sguardo, la fantasia, e che è in un certo senso un nodo potente con una storia da raccontare oltre a quella della sua forma superficiale, urbanistica, architettonica, artistica. Insomma che porti con sé un elemento di mistero e meraviglia. In questo senso per me Roma è la città che incarna meglio questo spirito. La grande, misteriosa e oscura bellezza». 

Quanto c’è di lei nei suoi protagonisti tormentati?
«Due bei pezzi di cuore del commissario profiler Enrico Mancini della Trilogia del caos e di Nemo Sperati ne  La Stanza delle Ombre, li ho tolti da me. Insieme ad alcuni dei loro pensieri ricorrenti e certi atteggiamenti sopra le righe e fuori sistema, diciamo. Il loro essere a cavallo tra la realtà del mondo e la verità interiore è qualcosa che sento profondamente mio».
Scrivere thriller richiede metodo o ispirazione? Segue una scaletta ferrea o lascia spazio all’imprevisto?
«Entrambe le cose. Sempre. Il rigore nella costanza delle ore di scrittura in un luogo solitario e l’arbitrio della scintilla, della deviazione, della libertà creativa; se e quando c‘è».

Ha avuto un momento di crisi creativa? Come lo ha superato?
«Non conosco la sindrome della pagina bianca, se intendi questo. Ma esistono dei passaggi, sempre gli stessi, all’interno della stesura di un romanzo, che sono particolarmente bui e insidiosi. La cosa migliore per affrontarli è buttarsi nella scrittura e dotarsi di un angelo custode affidabile: un bravo editor».

Che tipo di ricerche fa per rendere i suoi romanzi credibili dal punto di vista psicologico e investigativo?
«Mi appoggio alla professionalità del professor Giulio Vasaturo per le consulenze criminologiche e investigative anche se poi tendo a privilegiare la fiction, l’effetto romanzesco, e a tralasciare la realtà se non funziona da un punto di vista narrativo».

Che rapporto ha con la critica e con i lettori? Legge le recensioni?
«Sì. Leggo e mi arrabbio, ma non se i miei romanzi sono fraintesi o non apprezzati, questo fa parte del sacrosanto diritto del lettore. Mi arrabbio quando trovo recensioni o “stelline” confezionate a tavolino da account fake e commissionati. La trovo la cosa più sgradevole che una scrittrice o uno scrittore possano ricevere. Per il resto, in questi anni ho avuto fortuna sia con la critica che con il pubblico. Ed è una cosa rara di cui sono veramente grato».

Cosa legge nel tempo libero? Preferisce rimanere nel suo genere o cambia completamente registro?
«Tempo libero? Cos’è?  Anche se lavoro nell’ambito editoriale e leggo tante novità, sono più un 'rilettore' di classici. Antichi, moderni e contemporanei. La mia biblioteca ideale è composta da non più di duecento-trecento volumi da rileggere alla bisogna. Ora sono tornato a Paul Auster».

Oggi tanti giovani vorrebbero scrivere: che consiglio darebbe a chi inizia?
«Di avere coraggio, soprattutto. Di non aver paura di buttare giù l’incipit del proprio romanzo, racconto o poesia e di riempire pagine su pagine. Di non aver paura di rileggersi e di trovarsi inadeguati rispetto agli autori che amiamo e abbiano scelto come guide. Ma la premessa, ovviamente, è sempre la solita: leggere, leggere, leggere».

La Stanza delle Ombre è un romanzo pieno di suggestioni visive, le piacerebbe vederlo adattato per il cinema o la tv?
«Mi avvalgo della facoltà di non rispondere…».

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