Il fatto
23.11.2024 - 20:27
Sono 12 le parti lese di cui il giudice ha accolto la richiesta di costituzione di parte civile. Sono i parenti di cinque ospiti della Rsa di Cori che, durante l’emergenza pandemica, sono venuti a mancare. Per la loro morte la Procura di Latina ha ipotizzato accuse di omicidio colposo ai danni dei vertici della struttura e ha chiesto il rinvio a giudizio.
Ieri il giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Latina, Barbara Cortegiano, ha infatti accolto le richieste dei due avvocati Riccardo Amadei e Alessandro Marfisi che rappresentano i familiari. Le vittime sono cinque ospiti deceduti il 3, l’11, il 21 ed il 22 novembre del 2020 e uno deceduto il 13 febbraio 2021. Per la Procura di Latina avrebbero contratto il Covid all’interno della struttura corese che ne ha causato il decesso con il contributo colposo della direttrice sanitaria e del responsabile legale della società che avrebbero violato norme e dispoziioni del Governo e della Regione. Questa la colpa che viene contestata alla direttrice sanitaria Emilia Reda, e al rappresentante legale della Giomi Care srl, Fabio Miraglia (difesi dagli avvocati Bevere e Padroni).
Ieri però, il giudice ha anche accettato la richiesta delle parti civili di chiamare a rispondere come responsabile civile anche la stessa società proprietaria della Rsa, la Giomi Care Srl.
Solo il 6 maggio però, si saprà se il giudice disporrà il rinvio a giudizio dei due indagati a cui si contesta una serie di omissioni.
Per la direttrice sanitaria, in particolare, le indagini hanno portato la Procura, che in questa fase è rappresentata dal pubblico ministero Sgarrella, a contestarle l’omissione e l’errata valutazione del quadro clinico di almeno due pazienti. Una corretta valutazione invece, avrebbe portato, secondo l’accusa, a rendersi conto della desaturazione in corso e a ritenerla indice di un aggravamento che avrebbe, sempre secondo i protocolli e probabilmente il buonsenso, imposto un trasferimento tempestivo presso una struttura ospedaliera. Qui i due ospiti avrebbero potuto essere sottoposti alla ossigeno-terapia che probabilmente, con elevata probabilità, avrebbe potuto evitare il decesso.
Altre omissioni sono rivolte alla stessa e al responsabile della società, e riguardano l’osservanza dei protocolli volti a garantire il minor livello di rischio di diffusione del contagio del Covid.
Nella struttura di Cori, per l’accusa, non vi era un numero adeguato di dispositivi di protezione individuali, come le mascherine. Il personale, o parte di esso, non avrebbe frequentato corsi formativi sull’uso dei dispositivi e sulle misure volte a prevenire e contenere il contagio. Anche la struttura, che avrebbe dovuto subire modifiche interne, non era adeguata: mancava una separazione dei percorsi per il cambio della biancheria, mancava una separazione delle equipe sui diversi piani, non vi fu un controllo effettivo e l’impedimento dell’accesso ai familiari non solo nelle aree comuni, ma anche nelle camere dei pazienti. Inoltre, i soggetti che avrebbero dovuto essere messi in quarantena, specie nell’ultima settimana, sarebbero stati fatti tranquillamente mangiare nelle aree comuni con gli altri ospiti.
Se per alcune misure che hanno naturalmente trovato impreparate molte altre strutture in tutto il Paese, soprattutto quelle sui percorsi divisi, sulla separazione materiale dei locali, sull’impedimento agli ospiti di frequentare aree in comune, altre invece, come il controllo delle temperature all’ingresso, sono state ad un certo punto disattese e basta.
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